venerdì 1 agosto 2025

Bologna, 2 agosto 1980: Strage alla Stazione - Il racconto del giornalista Enzo Aprea



Tra le tante storie che ruotano intorno alla strage avvenuta il 2 agosto 1980 alla Stazione ferroviaria centrale di Bologna, ce n'è una che col tempo è andata dimenticata, sebbene riguardi un giornalista televisivo che quel giorno estivo era proprio lì a Bologna e che  raccontò in televisione, per conto del Tg2 della Rai, ciò che avvenne in quelle drammatiche ore, dopo l'esplosione della bomba in stazione. Il suo nome è Enzo Aprea (1932-1991) e i suoi ricordi di quella giornata li ha raccontati personalmente in un capitolo del suo libro Il mestieraccio - Cronista per amore (Carlo Mancosu Editore), pubblicato nello stesso anno della sua morte, il 1991.


La copertina del libro di Enzo Aprea, Il mestieraccio

L'indice del libro di Enzo Aprea

Il capitolo del libro di Enzo Aprea dedicato ai tragici eventi del 2 agosto si intitola "Bologna - Strage alla stazione". In esso, il giornalista di origini istriane focalizza l'attenzione sulle circostanze che lo portarono a lavorare a Bologna per il Tg2, in seguito alla riforma della Rai avvenuta nel 1975.
In quel periodo, Enzo Aprea, a causa di una rara malattia chiamata "Morbo di Buerger" (oggi meglio nota come "Malattia di Buerger"), dovette subire l'amputazione delle mani e di parte delle sue gambe, sostituendole con delle protesi, per poter continuare a svolgere con grande determinazione il proprio lavoro di giornalista televisivo per il Tg2, sebbene spesso dovette ricorrere alla sedia a rotelle per poter continuare a muoversi.

Enzo Aprea alla Stazione di Bologna, in collegamento con il Tg2, durante la serata del 3 agosto 1980
(fonte)

Il modo in cui Enzo Aprea lavorava dopo le amputazioni, è spiegato da lui stesso nell'ultimo capitolo del suo libro:

C'era un autista che mi aiutava ed io scrivevo i miei testi a macchina con una protesi che mi ero inventato e che consiste in una corta invasatura di plastica con un gancio ricurvo, alla fine del quale c'è un pezzetto di gomma arrotondato, che mi serve, tuttora, per battere i tasti della macchina da scrivere.

(Cfr. pag. 101)

A sinistra, Enzo Aprea in collegamento dalla stazione di Bologna la mattina del 2 agosto 1980.
Si può notare l'evidente assenza della sua mano sinistra nell'immagine.
(fonte)

Prima del suo arrivo a Bologna come giornalista del Tg2, Enzo Aprea aveva già maturato un suo punto di vista molto profondo, etico e sensibile nei confronti della giustizia e del racconto della verità attraverso il giornalismo, come da lui stesso raccontato nella prima pagina del capitolo del suo libro dedicato al racconto della strage del 2 agosto:

Accanto alla giustizia ho sempre incontrato le grandi ingiustizie e mi sono accorto che i moralismi sono inutili e dannosi. Le parole, scritte senza attenzione e senza il rispetto degli altri, chiunque siano, possono provocare ferite e lacerazioni insanabili. Anche nel furore accecante della ribellione, la solidarietà, l'amore e il rispetto servono molto più di qualunque cautela. Anche se è impossibile che dal quieto scrivere di un giornalista onesto non traspaia, tra le righe, la sua rivolta. La verità può essere sempre pericolosa. A volte, è sufficiente lasciarla supporre. Farla anche solo intravedere da molto lontano può provocare sospetti ed emarginazioni.

(Cfr. pag. 93-94)

La mattina del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna, dopo l'esplosione
(fonte)

Enzo Aprea, in collegamento da Bologna, interviene al Tg2
(fonte)

In seguito, Enzo Aprea racconta come cambiarono le testate giornalistiche della Rai per via della riforma del 1975, che portò alla nascita del Tg2 il 15 marzo 1976:

Il grande elefante si spaccò in sei piccoli elefantini, che provocarono, soprattutto, un enorme dispendio di denaro. Tutti i giornalisti e il personale furono separati in sei testate, tutte, almeno apparentemente, divise e concorrenti.

Al posto di direttore del TG2 fu chiamato Andrea Barbato, e tutti i direttori delle testate chiamarono i giornalisti che avrebbero voluto lavorare con loro. Fui chiamato anch'io ed accettai di lavorare per Barbato. Ebbe così inizio un giornalismo che avevamo quasi dimenticato. La censura era scomparsa all'improvviso e sentimmo una ventata di libertà investire quel telegiornale che rinasceva dalle ceneri di un triste conformismo. Quando uno di noi faceva le proposte dei servizi, venivamo approvati immediatamente e, finalmente, potemmo considerarci dei veri inviati speciali.

Testo di presentazione di "Dossier".
Dal Radiocorriere Tv n. 28 del luglio 1976.

Io mi dedicai, al fianco prima di Ezio Zefferi e poi di Ennio Mastrostefano, ad una trasmissione che si chiamava “Dossier” e che fu considerata la più bella delle trasmissioni giornalistiche di approfondimento per circa dieci anni. I primi servizi erano entusiasmanti. Quando tornavo, informavo Andrea Barbato e gli chiedevo, come avevamo fatto per tanti anni con gli altri direttori, di dare un'occhiata a quello che avevo fatto. Mi rispondeva sempre che non aveva voglia di vederlo due volte e che lo avrebbe visto direttamente quando sarebbe andato in onda.

Logo della trasmissione Dossier nel 1980
(fonte)

Ezio Zefferi parla di Dossier.
Dal Radiocorriere n. 39 dell'ottobre 1976. 

Fu un segnale di grande significato. Tutto cambiò nel modo di affrontare uomini e avvenimenti. I politici si sentirono quasi aggrediti dai giornalisti del TG2 che avevano perduto timidezza e paure nell'intervistarli. Sembrava davvero che stesse nascendo il vero giornalismo: quello con la gente e con i problemi della gente.

Il programma Dossier raccontato in un articolo di Ennio Mastrostefano.
Dal Radiocorriere n. 31 di luglio-agosto 1983.

Nello stesso anno in cui la Rai fu divisa, fui diviso anch'io dalle mie mani e dalle mie gambe, per una malattia che si chiama “Morbo di Buerger”. (…) Da quel momento, il mio rapporto con gli altri e con i fatti che accadevano, cominciò ad essere diverso, a cambiare a mano a mano che il mio cammino, abbastanza faticoso su una sedia a rotelle, si addentrava sempre di più in una maggiore e più profonda comprensione di una parola che, fino ad allora, avevo raramente incontrato: l'emarginazione.

Con l'emarginazione, fui costretto ad incontrare anche la stupidità, l'indifferenza, la superficialità e il disinteresse degli uomini per tutte le cose che non toccano personalmente. Fino da quel momento, dal giorno in cui guardando il mio corpo ebbi l'impulso, violento e disperato, di cercare la morte, la prima domanda che mi posi fu "Ma anch'io sono stato così indifferente, superficiale e distratto?".

(Cfr. 94-95)

Presentazione della puntata di Dossier in cui Enzo Aprea parlò del suo intervento in ospedale a Roma.
Dal Radiocorriere n. 49 del dicembre 1976.

La sua nuova condizione di vita lo fece riflettere profondamente sull'essere umano, facendogli rivolgere la propria attenzione verso la solidarietà, lavorando sospinto da una più forte volontà di comprendere e di raccontare la verità:

Fu con quella voglia che partii per Bologna, nel 1977, quando gli autonomi marciarono per la città con il pugno in alto e il segno della “P 38” e tennero Bologna in un clima di furiosa battaglia. (…)

Presentazione di un'inchiesta di Enzo Aprea a Bologna, trasmessa il 6 luglio 1980.
Dal Radiocorriere n. 28 del luglio 1980.

La mia sedia a rotelle provocava sempre un momento di perplessità negli altri ed io approfittavo di quei momenti per girare e muovere il microfono tra la gente. Da quei giorni, Bologna divenne come una città che avevo adottato. O furono i bolognesi, con la loro straordinaria capacità di comunicare, ad adottarmi. Vi tornai molto spesso per fare servizi di ogni genere. Ci arrivai anche il primo agosto del 1980. Il posto dove abitavo ogni volta era l'albergo “Internazionale”, all'angolo della lunga via Indipendenza.

La mattina dopo, era il 2 agosto, verso le dieci, io e gli uomini della troupe eravamo nella hall dell'albergo, in attesa di andare a fare delle riprese a Rimini su un argomento abbastanza sciocco. Il titolo era “Latin lovers d'antiquariato”. Eravamo appena entrati in macchina, alle dieci e venticinque, quando fummo investiti da un soffio violento di aria calda e sentimmo un boato che veniva dalla stazione ferroviaria. Nella macchina della RAI, munita di telefono, io, l'operatore Edoardo Cortoni e l'autista Franco Fioravanti, ci dirigemmo verso il luogo dal quale era venuto quel sinistro segnale. Arrivammo alla stazione e fummo avvolti dal fumo, dalla polvere e dalle grida di uomini e donne che correvano in tutte le direzioni, con gli occhi spalancati per il terrore. Cortoni scese dall'auto e cominciò a girare un rullo dopo l'altro di pellicola. Io avevo la protesi delle gambe e delle mani. Mi misi in piedi con un piccolo registratore che si chiama “Nagrino” [dovrebbe trattarsi del Nagra IV], cominciai a fare domande a chiunque mi passasse accanto.

Una delle interviste realizzate in Stazione a Bologna da Enzo Aprea
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Un'altra intervista realizzata da Enzo Aprea in Stazione a Bologna
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A poco a poco il fumo e la polvere si abbassarono del tutto e ci rendemmo conto che tutta la parte della stazione che conteneva la sala d'attesa e il ristorante erano scomparsi. Il grande orologio in alto, al centro della stazione, si era fermato sulle dieci e venticinque. Rientrai nella macchina, presi il telefono e chiamai la redazione di cronaca del TG2. Era l'ora della riunione quotidiana dei capi servizio e rimasi al telefono per cinque, eterni minuti, fino a quando sentii la voce di Paolo Meucci che, allora, era il capo redattore della cronaca.

“Che c'è?”.

“Ti sto parlando dalla macchina della RAI, davanti alla stazione di Bologna. Dice niente l'ANSA?”.

“No, niente. Perché?”.

“Perché qui è saltata in aria mezza stazione ferroviaria e io sto girando e raccogliendo. Sembra che i morti siano moltissimi”.

“Non ti muovere. Resta là e gira tutto. Gli altri sono in riunione, adesso vado a dirglielo. Possiamo andare nel telegiornale delle 13. Adesso verranno anche quelli della sede di Bologna con le telecamere”.

L'orologio centrale della Stazione a Bologna, rimasto fermo all'orario dell'esplosione, le 10:25.
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Misi giù il telefono e vidi che alcuni uomini stavano scardinando i paletti degli autobus che servono alla gente per tenersi in equilibrio quando è in piedi. Le barelle non entravano dagli sportelli a causa di quei pali. Subito dopo, cominciò la macabra processione di corpi dilaniati, bruciati o gravemente feriti di uomini, di donne e di bambini. Cominciarono a caricarli su un autobus, poi su un altro, poi su un altro ancora, fino all'arrivo dei camion militari e delle ambulanze. Il piazzale della ferrovia si riempì in pochi minuti dei camici bianchi e sporchi di sangue di medici, infermieri e infermiere di tutti gli ospedali bolognesi, per dare aiuto, quando era possibile ai feriti, per confortare quelli che erano scampati alla tragedia.

I soccorsi davanti alla Stazione di Bologna.
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Alcuni dei medici accorsi davanti alla Stazione di Bologna.
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In un primo momento, la versione ufficiale era che una caldaia del riscaldamento era esplosa. (…) Durante il telegiornale della sera, mentre sullo schermo passavano le immagini girate da Edoardo Cortoni, io, sulla solita sedia a rotelle, davanti ad un microfono, raccontavo quelle scene che avevo già visto e che il mio mestiere mi aveva imposto di guardare bene. Avevo un nodo alla gola, ma la mia voce entrava nei microfoni e nelle case dei telespettatori senza tradire la grande emozione e la rabbia che stavo vivendo dalle dieci e venticinque del mattino. Fui il primo a parlare di attentato terroristico. Il giorno dopo, tre agosto, alle otto di sera, ero di nuovo in piedi nella piazza di fronte alla stazione bolognese. Tenevo il microfono con la mano destra, naturalmente mioelettrica, che assomiglia molto ad una mano normale, e feci un collegamento con il telegiornale e, subito dopo, con il collega e amico Giuseppe ["Joe"] Marrazzo, che parlava da Roma, un “dossier” di un'ora sull'accaduto [intitolato: "2 Agosto 1980 Bologna: Perché?"].

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Dall'alto è inquadrata la stazione di Bologna
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Giuseppe "Joe" Marrazzo negli studi del Tg2 durante la serata del 3 ottobre 1980
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Enzo Aprea, in collegamento dalla Stazione di Bologna, la sera del 3 agosto 1980
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Quella volta i miei problemi mi sembrarono davvero trascurabili, di fronte al lutto e alla violenza che avevano colpito quella bellissima città, la cui gente, per lungo tempo, non avrebbe più sorriso come era abituata a fare. Non mi accorsi nemmeno che l'estremità della protesi che avevo alla coscia destra, per il troppo tempo in cui ero rimasto in piedi, era penetrata nell'inguine ed aveva provocato un profondo taglio.

Il punto esatto dell'esplosione della bomba in Stazione a Bologna, la sera del 3 agosto 1980
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Quando tornai a Roma, la prima persona che incontrai nel corridoio del terzo piano della RAI, in Via Teulada, fu il direttore Andrea Barbato. Mi venne incontro, mi abbracciò e disse, semplicemente, “grazie”.

(Cfr. pag. 96/99)

La presentazione del Dossier del 3 agosto 1980 su Rai Play
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Il capitolo del libro di Enzo Aprea dedicato alla strage del 2 agosto, si conclude con il racconto del suo tentativo fallimentare di intervistare, in Trentino, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in merito a quanto accaduto a Bologna il 2 agosto. L'intervista non fu mai realizzata, ma Aprea, nel suo libro Il mestieraccio, riporta ciò che Pertini gli disse al telefono in quella circostanza:

"Benedetto Aprea, ma sei venuto da Roma fino quassù per colpa mia. Dovevate avvisarmi. In questo momento, qualunque cosa io dica può essere discutibile, e poi sono davvero inviperito, mi fa una rabbia. Ma come si fa, quella gente assassina. Amico mio, mi faccia il favore, lo faccia per me, non mi metta un microfono davanti perché non so quello che verrebbe fuori. Se ne torni a Roma e dica a Barbato che, appena le cose si saranno un po' calmate, farò tutte le interviste che volete. Ciao".

(Cfr. pag. 100)

Sandro Pertini a Bologna dopo l'esplosione in Stazione
(fonte)

Anche se Aprea non riuscì a intervistare Pertini, il suo lavoro giornalistico svolto in quei drammatici giorni a Bologna rimane comunque un documento storico prezioso e fondamentale per meglio comprendere cosa accadde in quella città nei momenti immediatamente successivi all'esplosione della bomba in Stazione. Un lavoro che attende solo di essere riscoperto negli archivi Rai, così come il suo principale autore, Enzo Aprea, che in un'intervista rilasciata al quotidiano L'Unità nel 1989, sintetizzò con queste parole quella che è stata la sua vita professionale e privata:

"Da 13 anni non sono più la stessa persona - sostiene il giornalista -. Un tempo avevo sempre un biglietto d'aereo in tasca, correvo da un disastro all'altro, da una guerra all'altra. All'inizio mi volevo uccidere. Poi sono riuscito ad entrare in un universo sconosciuto. Ho imparato a conoscere il mio giornalismo. Mi sono accorto che sui problemi ci correvo, ora ci sono entrato. Mi sento un uomo libero. Voglio vivere la mia spiritualità, accarezzare una donna, pregare come so fare. Ma soprattutto voglio i miei diritti. Molta gente mi chiede se ho fede. Non si tratta né di fede, né di forza. Sono solo incazzato. Un pregiudizio millenario pesa sulla mia ed altrui diversità, e contro questo voglio combattere".

(cfr. l'articolo Tecnologia pro handicappati, di Fabio Luppino, L'Unità, 6/05/1989).

La quarta di copertina del libro di Enzo Aprea, Il mestieraccio

Striscione appeso in Piazza Maggiore a Bologna nel 2024, in ricordo del 2 agosto 1980.
Foto personale.

N.B. Il Dossier del Tg2 trasmesso nella serata del 3 agosto 1980 è disponibile in questa pagina di Rai Play.

Il sito ufficiale dell'Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è invece disponibile a questo link.

L'orologio della Stazione di Bologna, che ancora oggi è fermo alle 10:25.
(fonte)


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