sabato 9 maggio 2015

Rosemary's Baby: il romanzo di Ira Levin e l'incubo del talidomide



Per comprendere pienamente un'opera narrativa di finzione è spesso importante prestare attenzione al contesto storico, sociale e culturale in cui essa è stata ideata, in quanto può contenere allusioni, più o meno dirette, all'epoca in cui essa venne concepita, oppure esserne in qualche modo influenzata. È questo il caso del romanzo Rosemary's Baby (aka "Nastro rosso a New York", 1967) di Ira Levin, tra le cui pagine si trova il riferimento esplicito ad una medicina legata ad un tragico scandalo farmaceutico mondiale degli anni '60, le cui vittime erano le donne in gravidanza e i loro neonati.



Il nome più noto della medicina alla base di quello scandalo è "talidomide" ("thalidomide", il nome internazionale). Esso venne commercializzato in Germania Ovest, con il nome di "Contergan", a partire dal 1957 dalla Chemie Grunenthal (poi divenuta "Grunenthal"), e poi in molti altri paesi del mondo, inclusa l'Italia (vedasi il sito web delle vittime del nostro paese), con almeno altri 37 diversi nomi (cfr. questo dossier inglese). Un resoconto di ciò che provocò quel farmaco, viene effettuato da David J. Skal nel suo saggio The Monster Show: storia e cultura dell'horror (Baldini & Castoldi, 1998):

Un altro farmaco "sicuro", questa volta prescritto a donne incinte in 46 Paesi, ebbe conseguenze orribili. Il talidomide, un blando tranquillante prescritto come cura per le nausee mattutine, provocò alcune tra le più gravi malformazioni che la moderna medicina avesse mai visto. Preso durante i primi tre mesi di gravidanza, poteva compromettere la formazione degli arti nei primi stadi del feto, provocando la nascita di bambini privi di braccia o di gambe, o con escrescenze rachitiche, simili a pinne, su spalle o fianchi. Molto diffusi erano danni cerebrali e gravi deformità facciali. In Suffer the Children [libro-inchiesta pubblicato nel 1979 con il titolo completo di "Suffer The Children: The Story of Thalidomide"; qui ne è leggibile una recensione inglese del 1980], gli inviati del "Sunday Times" di Londra descrissero uno dei peggiori casi di talidomide verificatisi in Inghilterra: "Aveva un braccio deformato e più corto del normale e una mano priva di pollice. L'altra aveva un dito in più. Nel palato c'era una cavità profonda. Un lato del volto era paralizzato. Un orecchio mancava del tutto, l'altro era seriamente deforme. Per i primi diciotto mesi della sua vita vomitò cibo per tutta la stanza con la forza di un proiettile. Divenne presto evidente che, oltre ai danni cerebrali, era sordo e muto".
 
Questa tragedia da incubo sconvolse il mondo. Mai prima tanti esseri umani erano stati esposti alle immagini di fattezze tanto crudelmente distorte. Nell'agosto 1962, il ministero della Sanità della Germania occidentale calcolò 10.000 nascite con malformazioni, e solo la metà di sopravvissuti. Diversi drammi legali tennero il pubblico con il fiato sospeso: in Belgio una madre [Suzanne Vandeput-Coipel, venticinquenne nel 1962] venne assolta - con uno spettacolare applauso del pubblico - dopo avere ucciso il suo bambino privo di braccia con barbiturici mescolati a latte e miele; [in quello stesso anno] in America il pubblico televisivo e i lettori di giornali parteciparono indirettamente alla richiesta da parte della signora Sherri Finkbine [prima della sua gravidanza compromessa da quel farmaco acquistato dal marito in Inghilterra, la Finkbine era un'attrice televisiva di un programma, Romper Room, rivolto ai bambini in età prescolare] dell'autorizzazione a un aborto legale [dopo aver ricevuto minacce di morte e aver inutilmente tentato di andare in Giappone, la Finkbine e suo marito si recarono in Svezia per abortire; a questa vicenda è ispirato il film tv A Private Matter (1992, inedito in Italia), dove la Finkbine è interpretata da Sissy Spacek]. Lo spettacolo delle nascite mostruose negli anni Sessanta finì per porre la questione dell'aborto tra i problemi legislativi più scottanti.
Il talidomide ridestò la profonda e radicata fascinazione dell'America per i freaks. Il posto dei vecchi baracconi venne preso dai giornali scandalistici, che esibivano in copertina i NUOVI MOSTRI DEL TALIDOMIDE con un'aura di pornografia, a causa della cancellazione con quadratini neri dei genitali, come i copricapezzoli in uno spettacolo di spogliarello.
(cfr. pag. 251/252)
A rendere ancora più insostenibile, per l'opinione pubblica internazionale, quanto accaduto col talidomide, contribuì la mancata condanna penale, in Germania Ovest, degli imputati della Grünenthal, i quali vennero tutti assolti nel processo che si tenne dal 1968 al 1970. Inoltre, solo il 31 agosto 2012 un dirigente della Grünenthal si scusò pubblicamente con le persone che soffrirono a causa dei devastanti effetti collaterali del loro farmaco, suscitando la reazione disgustata di parte delle vittime, le quali ritennero offensive quelle scuse così tardive e inconsistenti.

Le analogie tra le nefaste conseguenze dell'uso del Talidomide e il romanzo Rosemary's Baby di Levin sono suggerite dallo stesso Skal: "A un livello terra terra, sia Rosemary sia la lettrice condividono atroci dubbi sulle manipolazioni chimico-occulte dei propri sistemi riproduttivi. Rosemary beve il puzzolente cocktail di radici di tannis fornitole dalla vicina, mentre la lettrice (probabilmente) manda giù il magico zuccherino delle pillole per il controllo della gravidanza. Nessuna delle due possiede una comprensione approfondita degli effetti delle due sostanze sul proprio corpo e sulla propria vita" (cfr. pag. 256).

Edizione del 2005

Anche Levin, al termine della prima parte del romanzo, descrive una Rosemary che, dopo aver appreso di essere incinta, allude nei suoi pensieri al talidomid
e: "Se solo fosse ancora capace di pregare! Come sarebbe stato bello stringere di nuovo un crocifisso e rivolgersi a Dio: chiedergli protezione per gli altri otto mesi che ancora restavano; niente rosolia, ti prego, niente nuove droghe con imprevisti effetti come il talidomide [la stampa inglese e americana ricorre al termine "drug" (droga) per descrivere quel farmaco; nell'edizione originale del libro, inoltre, il termine "rosolia" è indicato con "german measles", rappresentando anch'esso un'allusione alla Germania]. Otto bei mesi, ti prego, senza incidenti né malattie, pieni di ferro latte e sole" (cfr. pag. 86 dell'edizione Mondadori, risalente al 2005).

Skal riporta, inoltre, le seguenti dichiarazioni di Levin - autore che di incubi "genetici" se ne occupò anche in seguito, con I ragazzi venuti dal Brasile del 1976 - sul suo romanzo: "Cominciai con una donna incinta di qualcosa che non quadra e alla fine mi venne in mente la stregoneria. Era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare per spiegare la gravidanza escludendo i marziani (...) Ritengo che nessuna donna incinta dovrebbe leggerlo" (cfr. The Monster Show, pag. 255).

Va però precisato come il talidomide ebbe scarsa circolazione negli USA, grazie all'opposizione di Frances Oldham Kelsey (1914-2015), la farmacologa dell'ente governativo FDA (Food and Drug Administration, "Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali") che ne vietò la circolazione commerciale in contrasto con il volere delle compagnie farmaceutiche, divenendo, in seguito allo scoppio dello scandalo in Germania Ovest e in altri paesi, un'eroina nazionale per quella sua decisione, al punto da ricevere nel 1962 un prestigioso riconoscimento direttamente dall'allora presidente degli USA, John F. Kennedy.

Kelsey e Kennedy
(fonte)

Nel frattempo sui mass media americani - anche per via del già citato "caso Finkbine" - si diffusero le notizie dello scandalo del talidomide ed è, in particolare, approfondendo il già citato "caso Vandeput", che si possono cogliere dei punti di contatto con quanto scritto da Ira Levin nelle pagine conclusive di Rosemary's Baby, libro che, nel finale, presenta alcune differenze rispetto alla trasposizione cinematografica, come una maggiore attenzione ai pensieri conflittuali che emergono nella protagonista dopo aver scoperto che quel figlio che volevano farle credere di essere morto, era in realtà vivo, anche se con un aspetto "diabolico".

Come sottolineato dall'introduzione scritta da Chuck Palahniuk (autore di Fight Club) per un'edizione inglese del libro di Levin, è infatti essenziale tenere conto del periodo storico - 1965/1966 - in cui è ambientato Rosemary's Baby, durante il quale fece molto scalpore la copertina (citata sia nel libro di Levin, sia nel film di Polanski) che il settimanale TIME, nell'aprile 1966, dedicò al dibattito sulla "morte di Dio" dovuta ai continui progressi scientifici. Ma come dimostrato da quanto accaduto col talidomide, l'evoluzione della scienza moderna era tutt'altro che infallibile, divenendo fonte di tragici effetti sulle vite degli esseri umani.

Time, 8 aprile 1966
(fonte)

Il numero del Time nel film di Roman Polanski

Passando al caso di Suzanne Vandeput, va precisato che, nel processo tenutosi a Liegi nel 1962 per l'omicidio di sua figlia Corinne, erano co-imputati la madre della donna, la sorella, il marito e il loro medico di famiglia. Nell'articolo Uccidere per troppo amore di Eleonora Bertolotto (La Stampa, 18/04/1974), oltre a citare il ricordo messo per iscritto dalla Vandeput, si menziona l'acceso dibattito su aborto - all'epoca ancora illegale in Belgio e in Italia - e eutanasia che ne derivò:
"'C'erano tre lettini in fila. Quello della mia bambina era il primo. Una graziosa testolina bionda sbucava dalle lenzuola rosa: la mia piccola dormiva. Suor Filomena la scoprì ed io la vidi tutta fasciata, fino al collo. Ancora prima che mi mostrasse il corpicino nudo, io avevo già notato che i fianchi erano paurosamente piatti. Seguii sbalordita i movimenti della suora che scioglieva Corinne dai pannicelli. Fu uno spettacolo orrendo. Io caddi sulla sedia che avevano sistemato alle mie spalle. Il medico mi abbracciò per sostenermi. Singhiozzai, urlai come una forsennata: "È dunque questa mia figlia? Ma è possibile dare alla luce bambini così?". (...) Fu necessario sollevarmi di peso e portarmi nella camera dove mi buttai sul letto sconvolta dalla disperazione'. (...)
Libro scritto dalla sorella della Vandeput
(fonte)
Come tutte le madri, anche Suzanne aveva preparato le piccole vesti, le fasce, la culla. Come tutte aveva chiesto ansiosamente, poche ore dopo la nascita: "Com'è, è bella? È sana? Perché non me la fate vedere?". Per tre giorni le avevano mentito. Al momento dell'arresto, su una scrivania della sua casa a Liegi giacevano ancora, non spediti, i cartoncini rosa. (...) Il caso trova immensa eco sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. La psicosi del "farmaco maledetto" che mutila i neonati e li condanna a vita è appena più grande della commozione suscitata da questo gesto d'amore disperato. Si risvegliano in ciascuno dubbi angosciosi. È lecito sopprimere una vita, sia pure per sottrarla alla sofferenza dell'anormalità? Quando il processo a Suzanne e alla sua famiglia si conclude con una assoluzione, ancora l'opinione pubblica è divisa fra la pietà dei molti e l'intransigenza dei pochi".
Va puntualizzato che l'assoluzione per gli imputati al processo Vandeput fu possibile grazie alla particolarità del sistema giudiziario allora in vigore in Belgio, che venne così messo a confronto con quello italiano di quel periodo: "Pensiamo alla sentenza con la quale il popolo belga ha assolto i genitori di Corinne Vandeput (...). In Italia, una sentenza di assoluzione sarebbe stata impossibile e i giudici avrebbero dovuto limitarsi a concedere delle attenuanti. Qualunque cosa si pensi sul verdetto di Liegi, non si può certo che approvare la legge belga che lascia alla giuria popolare il potere di assolvere o di condannare, seguendo solo il suggerimento della propria coscienza" (cfr. Le Corti d'Assise saranno riformate?, di Andrea Barberi, L'Unità, 19/01/1963).
Per rendersi conto di cosa accadde, in tribunale, il giorno della lettura della sentenza del processo Vandeput, qui è possibile visionare un servizio giornalistico ad esso dedicato.



Tornando a Rosemary's Baby, nel
le pagine conclusive del romanzo di Levin, a differenza del finale della pellicola di Polanski, si racconta di come anche nella mente di Rosemary si faccia strada il pensiero di uccidere il proprio figlio, dopo averne visto l'aspetto - le deformità delle mani del bambino descritte nel finale del libro, sono accennate anche nei dialoghi originali del film di Polanski, mentre in quelli dell'edizione italiana della pellicola esse sono state eliminate, venendo sostituite con ulteriori riferimenti ai suoi "occhi" -, e aver saputo che il suo vero padre è Satana:

Non restava altro da fare che ammazzarlo: era chiaro. Doveva aspettare che tutti si ritirassero in fondo alla stanza e allora precipitarsi, allontanare Laura-Louise, afferrarlo e lanciarlo dalla finestra. E subito dopo saltare dietro di lui. Madre ammazza se stessa e il figlio, al Bramford.

Salvare il mondo da Dio-sa-cosa. Da Satana-sa-cosa.
Una coda! La punta delle corna!
Aveva voglia di urlare, di morire.
L'avrebbe fatto, l'avrebbe buttato e sarebbe saltata dietro di lui. (...)
Quegli occhi! Occhi di animale, di tigre, non di essere umano!
Del resto, non era un essere umano! Era... era una specie di bastardo.
E com'era sembrato bello e adorabile, prima che aprisse quegli occhi gialli! Il mento piccolino, un po' come quello di Brian; la boccuccia ben fatta e tutti quei capelli rosso arancione... Sarebbe stato bello dargli un'altra occhiata se solo non aprisse quei gialli occhi animaleschi! (...)
No. Non poteva buttarlo giù dalla finestra. Era suo figlio, chiunque fosse il padre. Sì, doveva rivolgersi a qualcuno capace di capire queste cose. Un prete, per esempio. Sì, era l'unica cosa da fare. Era un problema che solo la Chiesa poteva risolvere. Solo il papa e tutti i cardinali potevano affrontare, non una sciocca Rosemary Reilly di Omaha.
Uccidere è peccato, chiunque si uccida. (...)
Dopotutto, quegli occhi non erano tanto brutti ora che era preparata. Era stata la sorpresa a sconvolgerla. A loro modo erano anche graziosi. (...)
Povera creaturina.
Non poteva essere del tutto cattivo, non era possibile. Anche se era metà Satana, l'altra metà non era come lei, decente, normale, sensibile creatura umana? Se lei agiva contro di loro, se esercitava una buona influenza per neutralizzare la loro cattiva influenza... (cfr. pag. 180/183).

Rosemary e la culla di suo figlio

La reazione psicologica di Rosemary - donna contraria all'aborto perfino nei momenti più difficili e dolorosi della sua gravidanza, come da lei espressamente detto alle sue amiche, nel libro e nel film - e la sua volontà di imporsi sulla vita del figlio, si incentivano quando la donna entra in contrasto con la decisione di Roman Castevet di dare al bimbo il nome di "Adrian Steven" per sottolineare il legame con lo stregone Adrian Marcato, padre di Steven Marcato cioè di Roman Castevet (nome che è l'anagramma di Steven Marcato):


- Ave, Rosemary, Madre di Adrian! - disse Roman.
Rosemary si girò di scatto. - Andrew - disse. - Si chiama Andrew John Woodhouse.
- Adrian Steven - replicò Roman. (...)
Rosemary disse: - Capisco perché volete chiamarlo a quel modo, ma mi dispiace, non potete chiamarlo così. Il suo nome è Andrew John. È figlio mio, non vostro, e su questo non sono affatto disposta a discutere. Sul nome e sul corredo. Non può avere addosso sempre tutto quel nero.
Roman aprì la bocca per rispondere, ma Minnie disse - Ave, Andrew -, a voce alta, guardando fisso il marito (cfr. pag. 183).



Rispetto al cupo finale del film di Polanski, nel libro - seguendo la chiave di lettura sovrannaturale degli eventi narrati - rimane dunque aperto uno spiraglio positivo sul destino del figlio di Rosemary, la quale decide in modo non del tutto remissivo di prendersene cura e di fargli da madre, nonostante sia il frutto di un abuso sessuale da lei subito (è stata violentata dopo aver ingerito della droga nascosta in una mousse al cioccolato) e nonostante il suo aspetto demoniaco, comprensivo di corna e coda. Tutto ciò contribuisce a fare della Rosemary Reilly Woodhouse di Levin un personaggio estremamente complesso e contradditorio, capace di reagire allo shock della vista del figlio, di prendere delle decisioni senza arrendersi del tutto a ciò che le è accaduto, e soprattutto di non cedere all'istinto di voler uccidere il bambino, uccidendosi a sua volta. Anche se sola e circondata da avversità, in lei è l'istinto materno a prevalere, decidendo di continuare a vivere e di impegnarsi per suo figlio, accettandone la natura, superando quello shock iniziale che, come molte madri delle vittime del talidomide o di bambini afflitti da disabilità di qualsiasi genere, si era trovata ad affrontare.

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N. B. Per completezza si segnala che a questo link è visionabile un servizio giornalistico in inglese, The Shadow of Thalidomide (2013) realizzato dal New York Times, dove è ricostruita l'intera vicenda del talidomide, dalla sua creazione ai giorni nostri, mostrando anche interviste a persone adulte che vivono con le deformazioni provocate da quel farmaco. Si avverte che il servizio contiene immagini molto crude che potrebbero mettere a disagio le persone più sensibili e soprattutto le donne in gravidanza.

Edizione del 1968
(Garzanti, fonte)

N. B. 2: Riguardo al titolo "Nastro rosso a New York" usato per le prime edizioni italiane del libro di Levin e come sottotitolo del film di Polanski, si riporta, per fare chiarezza, il seguente estratto da un articolo di Oreste del Buono: "Garzanti lo ha fatto tradurre da Attilio Veraldi e lo ha presentato nel 1968 con il titolo Nastro rosso a New York, poi sostituito da Rosemary's Baby, visto e considerato il gran successo mietuto anche da noi dal film omonimo di Roman Polanski cui la distribuzione italiana non aveva giudicato necessario tradurre il titolo" (cfr. Rosemary e il baby del Diavolo, di Oreste del Buono, La Stampa, 29/03/1985).
Nel 1997 Ira Levin ha pubblicato un controverso seguito ufficiale di Rosemary's Baby, dal titolo "Son of Rosemary" (inedito in Italia), il cui finale ha deluso molti lettori negli USA, come si evince dalla pagina di Amazon USA.


Aggiornamento 04/12/2020: Tra le persone che in Italia hanno particolarmente apprezzato il romanzo di Ira Levin e il film di Roman Polanski, vi era l'attrice e sceneggiatrice Daria Nicolodi (1950-2020), che più volte su Twitter ha espresso pubblicamente il suo gradimento nei confronti del libro e del film. In ricordo di Daria Nicolodi, si riporta questo suo tweet in lingua inglese rivolto all'attrice Mia Farrow, protagonista del film di Polanski.


E quest'altro suo tweet, sempre in lingua inglese, dove esprime il suo parere sul libro e sul film, da lei ritenuti validi in egual misura.


2 commenti:

  1. Interessante. Questi sono i post approfonditi che vale la pena leggere.
    Il film lo conosco e lo amo ma il libro non l'ho mai letto, nonostante sia il mio genere.
    Del resto anche "L'esorcista" mi sono deciso a leggerlo solo quest'anno.

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