domenica 16 marzo 2014

Aprile 1978 - Il primo importante dossier italiano sull'animazione giapponese (seconda parte)




Seconda e ultima parte dell'analisi del dossier sull'animazione giapponese, pubblicato sul Radiocorriere TV n. 17 dell'aprile 1978, dove, accanto all'animazione e al fumetto nipponico, trovano spazio anche riferimenti ad importanti aspetti della società giapponese e ad opere letterarie poco note, ma molto interessanti.


Yoji Kuri
(fonte)

Oltre a quanto già riportato finora, un'ulteriore elemento di forte sorpresa all'interno dell'articolo scritto da Teresa Buongiorno, è il porre l'attenzione sull'animazione indipendente giapponese, di cui si è sempre parlato poco in Italia, citando Yoji Kuri (classe 1928), creatore di cortometraggi d'animazione, attivo soprattutto tra gli anni '60 e i primi anni '80, attualmente sconosciuto nel nostro paese, ma noto negli ambienti dei festival cinematografici occidentali degli anni '60, durante i quali ottenne dei riconoscimenti sia alla Mostra del Cinema di Venezia (nel 1963 per LOVE), sia all'Annecy International Animation Festival (premio speciale della giuria al suo corto Human Zoo, nel 1963), tanto da essere trattato anche nel vol. 9 della Encyclopédie Alpha du cinéma. Uno dei suoi ultimi lavori, è la creazione di un episodio del film collettivo Winter Days (2003, inedito in Italia) di Kihachiro Kawamoto, pellicola sperimentale di cui si era già parlato in questo blog. Sull'attività cinematografica di Kuri è stato realizzato, in Giappone, un documentario nel 2008, intitolato Kuri Yoji e diretto da Ryo Saitani.

Dvd dedicato a Yoji Kuri

Delle opere di Kuri, la Buongiorno ci offre la seguente descrizione:

Kuri si esprime per micrometraggi di pochi minuti, sintetici, sincopati, spesso con immagini fisse, talvolta con animazione di creature reali. Il suo cartone più famoso, The bottom (Il bottone) [aka "The Button"], è del 1963: in tre minuti di proiezione una formicolante città esplode nel nulla perché un omarino insignificante spinge, senza rendersene conto, il famoso bottone atomico. Gli omini in bombetta di Kuri (tre di loro, zazzeruti, costituiscono il marchio della Kuri Manga Tobo [nome corretto: Kuri Jikken Manga Kobo, fondata nel 1961 e citata nell'Encyclopédie], una piccola casa produttrice che si oppone con l'intelligenza alla mastodontica potenza della Toei) raccontano dello scontro uomo-donna (in chiave antifemminista) [cfr. il sopracitato LOVE], dell'assurdo di città sovraffollate che porteranno l'ultimo superstite dell'umanità ad uccidersi nell'esiguo spazio concessogli, appena un cubo.
Radiocorriere n. 36 (settembre 1976)

Verso il modo in cui erano rappresentati i personaggi femminili nell'animazione internazionale, vi era una particolare attenzione nella Rai degli anni '70 - decennio in cui l'Associazione Italiana per l'Educazione Demografica [AIED] e molte donne italiane si impegnarono politicamente per la conquista di importanti diritti civili, fino ad allora negati nel nostro paese, come il diritto all'acquisto legale della pillola anticoncezionale e il diritto all'aborto volontario assistito da personale della sanità pubblica -, come testimoniato dalla prima puntata del programma Drops (trasmessa il 7 settembre 1976), curata da Nicoletta Artom per la Rete 2 (Raidue) e interamente dedicata alla rappresentazione della donna nel mondo dell'animazione, al cui interno venne trasmesso il cortometraggio Cenerentola di Pino Zac, recentemente inserito nel documentario Vogliamo anche le rose (2007) di Alina Marazzi.


Candy Candy

All'interno di un box informativo intitolato "Il Femminismo giapponese impugna il mestolo" e legato al testo del suo articolo, la Buongiorno riprende a parlare di Kuri, descrivendo alcune opere animate nipponiche rivolte al pubblico femminile e/o dove le donne ricoprono dei ruoli principali:

Il cartone impegnato di Kuri pecca di antifemminismo ma l'immagine della donna che risulta da lungometraggi e serie televisive tratte dai classici della nostra letteratura non esce da schemi tradizionali, oscilla tra il giallo-rosa per signorinette (come 'Candy Candy') e l'erotismo per adulti (ma una 'Cleopatra' saga del discinto si ambienta in una rigorosa ricostruzione iconografica) [riferimento al film Cleopatra, 1970, di Osamu Tezuka e Eiichi Yamamoto, inedito]. La fantascienza 'manga' include tra le sue eroine Gutie Honey, una umanoide umanitaria impegnata contro il crimine [si tratta di Cutie Honey, personaggio ideato da Go Nagai]. La commedia brillante conta più d'una apprendista-strega, da Sally (oltre 200 episodi televisivi) [Sally la maga, serie composta da 109 puntate], alla piccola Megu [è la protagonista di Bia la sfida della magia, chiamata "Megu" nella versione originale e "Bia" in quella italiana], che combinano un sacco di divertenti guai. Il femminismo non è approdato al cartone animato, anche se il cinema ha già la sua Lina Wertmuller: si chiama Sachiko Hidari ed ha presentato all'ultimo festival di Berlino il racconto della cauta emancipazione della donna e del crescere di una gioventù che contesta i valori tradizionali in 'La strada lontana' [The Far Road, 1977].

Il box informativo sul femminismo giapponese inserito nel dossier di Teresa Buongiorno
Dal Radiocorriere n. 17 (aprile 1978)

Radiocorriere n. 9 (marzo 1981)

Tra le varie opere citate dalla Buongiorno, sorprende soprattutto trovare Cutie Honey, la protagonista di un'innovativa serie tv del 1973, rimasta purtroppo inedita in Italia. Honey appartiene al filone delle "maghette" e rappresenta una delle opere di maggior riferimento per la creazione di Sailor Moon. Honey riappare successivamente sul numero 9 del 1981 del Radiocorriere TV, all'interno di un articolo di presentazione della serie tv Bia la sfida della magiaprodotta nel 1974-1975 e trasmessa su Raidue dal 2 marzo 1981 alle 17:30 -, anch'essa già segnalata in questo dossier del 1978. In questo nuovo caso, Honey è indicata come "Gutie Honey" solo in una didascalia, mentre nel testo dell'articolo essa è citata col suo nome corretto (Cutie Honey), spiegando che la sua serie è piena di "fantastiche avventure e di mistero". Oltre ad essere segnalate in queste due occasioni e ad appartenere entrambe al filone delle "maghette", Honey e Bia hanno numerosi altri punti in comune, come la presenza, negli staff creativi delle loro serie, di Shingo Araki - character designer di Honey e Bia, che in seguito si ispirò proprio a Bia per la creazione di Maria in Goldrake -, dello sceneggiatore Masaki Tsuji - autore che diede un importante contributo alle serie tv di Devilman e Dororon Enma-Kun [inedito], entrambe basate su personaggi di Nagai -, e come la presenza di Honey nell'ep. 27 di Bia, dove appare in televisione cantando, in giapponese, la sigla di testa della sua serie tv.


Cutie Honey (1973)

Tornando al box sul femminismo giapponese della Buongiorno, esso fornisce la possibilità di trattare brevemente l'importanza del simbolo del "mestolo" nella società e nella cultura nipponica. Così scrive la Buongiorno: "
È nato nel 1948 il movimento giapponese delle donne, lo Shu-fu-Ren [si tratta dello Shufu Rengo Kai, "Associazione della Casalinghe", abbreviato solitamente in Shufuren e attivo politicamente], che conta circa un milione di associate e innalza lo "shamoji", il bastone piatto di legno, d'obbligo per rimestare il riso. Il mestolo non esprime soltanto l'umile fatica della casalinga, bensì anche il potere del maschio: non per niente il Giappone si chiamava, un tempo, in giapponese, Mizu-no-kuni, Paese del riso abbondante [il nome corretto è "Mizuho-no-kuni", cioè il "paese ricco di spighe di riso", fonte Treccani;  il termine "Mizu-no-Kuni" è presente nella saga di Naruto, dove indica il "Paese dell'Acqua"]. E il riso, offerta primordiale agli dei, sostituiva l'oro come moneta di scambio".

Da Tezuka secondo me,
di Takao Yaguchi

Solitamente, in Giappone, al mestolo è associata la costellazione dell'Orsa Maggiore (nota anche come "Grande Carro"), come chiarito dal fumettista Takao Yaguchi (l'autore di Sampei ragazzo pescatore) nel suo manga Tezuka secondo me (1989, edito da Kappa Edizioni), in cui rievoca una notte della sua infanzia durante la quale, insieme ad un paio di amici, rimase sveglio per osservare e annotare i cambiamenti della posizione dell'Orsa Maggiore nel cielo, nel corso del passare delle ore fino all'alba. La costellazione dell'Orsa Maggiore, come verificato insieme a Daria Dall'Olio per la conferenza Costellazione Manga, viene considerata come "mestolo del nord" nella celebre serie di Ken il guerriero, dove il protagonista Kenshiro della "divina scuola di Hokuto" ("Orsa Maggiore") deve inizialmente scontrarsi con Shin, il suo avversario appartenente a Nanto, che è una scuola di arti marziali legata alle 6 stelle che compongono l'asterismo del "mestolo del sud", facente parte della costellazione del Sagittario (qui ulteriori informazioni). Probabilmente, per evitare di suscitare involontari effetti ridicoli negli spettatori e nei lettori, le traduzioni italiane degli anime e dei manga di Ken il guerriero, non hanno mai fatto volutamente riferimento al "mestolo" nei dialoghi tra i personaggi.


Copertina di Takeru (1976)

Un'ulteriore e importante segnalazione di una donna nipponica, è presente all'interno del box "Dalla tv al libro" del dossier del Radiocorriere, dedicato ai libri legati al Giappone, paese che viene presentato come "uno dei più grossi produttori di libri per ragazzi del mondo: sforna ogni anno più di 2500 titoli (noi 1100)". In questo piccolo box, oltre ai libri illustrati ispirati a Heidi e Atlas Ufo Robot e ad un'illustrazione proveniente da Takeru (1976) di Masakane Yonekura - breve libro illustrato a colori (circa 40 pagine), vincitore del "Premio Grafico per la Gioventù" alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna del 1977, di cui è disponibile una copia interamente in giapponese e solo per consultazione interna, presso la biblioteca Sala Borsa Ragazzi di Bologna, sebbene i suoi contenuti sembrino rivolgersi a un pubblico adulto -, e soprattutto del romanzo Pacchi-dono dal Giappone (edito in Canada nel 1971 e, in Italia, da Giunti Marzocco nel 1975) di Shizuye Takashima, basato su un'esperienza realmente vissuta dall'autrice. Nonostante un titolo italiano fuorviante (più chiaro il titolo inglese: "A Child in Prison Camp", lett. "una bambina in un campo di concentramento"), esso è il drammatico racconto di una bambina giapponese che vive in Canada e che, nel 1942 in seguito all'attacco nipponico a Pearl Harbor, viene deportata insieme ai suoi genitori e ad altri giapponesi del Canada, in un campo di concentramento. Nonostante la Buongiorno descriva questo libro come "la storia di una piccola Anna Frank dagli occhi a mandorla", nell'introduzione presente nel libro si sottolinea come l'accostare Shichan (nome della protagonista di Pacchi-dono dal Giappone) ad Anna Frank sia un errore da evitare, poiché:

Se è la medesima guerra a violare l'infanzia di ambedue, tuttavia sul destino di questa giapponesina, più bambina della sua età, già dalla nascita invalida e gracile, non pesa l'ombra della fine atroce che rende straziante il diario della ragazzina ebrea olandese, così esuberante e precoce. Il fatto che l'acciaio di cui è fatta Anna si spezzi nell'inferno di una persecuzione assurda 'fa notizia', come dicono i giornalisti, e ispira immediatamente orrore e ribellione per la guerra. Ma, se ci meditiamo un attimo, orrore e ribellione ispira anche il fatto che la sottile porcellana di cui è fatta Shichan sia sottoposta a mille urti, mille grossolanità e incurie; la separazione dagli affetti più legittimi, la privazione delle libertà civili, l'alienazione, l'indifferenza, l'ingratitudine di una patria amata, la costrizione a coabitare con estranei, il disprezzo dei 'bianchi', le privazioni fisiche, lo spettacolo della discordia e dell'infelicità che gli adulti tacciono ma non sanno nascondere, gli abusi, l'avvilimento... Sì, anche se tutto questo 'non fa notizia'. [Cfr. Introduzione "Ai Lettori", pag. 6].
Pacchi-dono dal Giappone (edizione inglese)

Infine, questo dossier del Radiocorriere offre un ultimo e importante spunto di interesse legato ai fumetti giapponesi, i manga. Nel box "Si chiama Manga e nasce nell'anno mille", oltre ad indicare che "il cartone animato, in Giappone, prende il nome dal fumetto che, come la vignetta satirica, si chiama 'manga' [più precisamente: "manga eiga" era usato per i film d'animazione e "tv manga" per le serie tv; il termine "anime", in Giappone, viene introdotto negli anni '70 in seguito al successo della Corazzata Spaziale Yamato ("Star Blazers" in Italia), per contraddistinguere una nuova tipologia di produzioni animate, più adulte e diverse da quelle realizzate in precedenza]", non viene citato - come spesso accade in tanti testi più recenti - Katsushika Hokusai (1760-1849) come ideatore dei manga (con gli "Hokusai Manga", prodotti tra il 1814 e il 1834), ma si fa più correttamente riferimento ai disegni effettuati sui rotoli nel periodo dell'anno mille, da autori come Kakuyū (detto Toba Sōjō, 1053-1140), considerati da molti storici e artisti nipponici, i veri precursori del fumetto giapponese.

Dvd del primo film della Yamato

La fonte di queste informazioni è nuovamente il volume I Primi Eroi, dedicato al fumetto mondiale ed edito da Garzanti nel 1962 (rieditato nel 1965), il quale, insieme a questo dossier del Radiocorriere, testimonia efficacemente quanti e quali aspetti della cultura e della società nipponica fossero già noti e divulgati nell'Italia degli anni '60 e '70.


N.B. Link alla prima parte: http://alemontosi.blogspot.it/2014/03/aprile-1978-il-primo-importante-dossier.html

6 commenti:

  1. Yoji Kuri viene citato anche dall'annunciatrice Maria Giovanna Elmi in un frammento audio riportato in questo programma radio: viene descritto come l'autore di "Samurai" e uno strano "Atomic Boy" (si saranno confusi con l'Astro Boy di Tezuka?)


    RispondiElimina
  2. Ciao Andrea, grazie per la segnalazione di quel frammento della Elmi. Proverò ad ascoltarlo per capire a cosa possa essersi riferita citando quei due titoli.

    RispondiElimina
  3. Grazie per questo articolo, Alessandro, soprattutto per le riflessioni che suscita riguardo alla condizione femminile negli anime.
    A questo proposito, non concordo con l'interpretazione della Buongiorno, che a mio avviso semplifica eccessivamente l'immagine della donna nell'animazione giapponese e forse non ne coglie la complessità. Trovo riduttivo parlare di tinte giallo-rosa per quel Bildungsroman-fiume che è _Candy Candy_. Le eroine della Igarashi sono volitive e determinate: combattono strenuamente contro un destino che le vorrebbe fragili e sottomesse per affermare la propria personalità; se si sacrificano, è per un ideale superiore (il bene altrui, la salvezza dell'essere amato). La loro attitudine è eroica.
    Vero è che molte eroine femminili devono comportarsi "da uomo" per affermare il proprio valore: l'esempio più eclatante è Lady Oscar (senza dimenticare il precursore della Principessa Zaffiro), che però al termine dell'epopea rivendica la propria natura femminile. E non trascuriamo il fatto che la Stella della Senna non facesse neppure mistero di essere una donna!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Prego Barbara, il dossier del 1978 della Buongiorno offre tanti spunti interessanti ed era un'opera pionieristica per quei tempi.
      Credo che questa sia stata la prima volta che veniva nominata Candy Candy in Italia (da noi la serie tv arrivò nel 1980, a quanto sappiamo), che oltretutto era ancora in corso di trasmissione in Giappone. Erano proprio altri tempi...
      Molto interessante la tua opinione su Candy Candy e sulle altre eroine dell'animazione giapponese!

      Elimina
  4. Davvero mooolto interessante! Si parla sempre o quasi di ingenuità dell' epoca come la famosa storia delle serie tv realizzata con il computer, ma bisogna ricordare anche questi interessanti articoli! Fa il pari con il servizio TV del periodo.

    RispondiElimina

Per informazioni sulla gestione della privacy degli utenti che decidono di postare un commento su questo blog, si rimanda a questa pagina del blog:
https://alemontosi.blogspot.it/p/cookie-privacy-e-policy.html