martedì 20 maggio 2014

L'animazione giapponese in un libro italiano del 1960



"Il Giappone, vivaio di raffinatissimi artisti come Hokusai (...), di pittori frenetici di movimento, non poteva non essere sedotto dal Disegno Animato. Il temperamento minuzioso, osservatore, sereno dei disegnatori nipponici racchiudeva in sé già gli elementi fondamentali per dar vita ad ottimi cartoonists". Così ha inizio il primo accertato approfondimento italiano sull'animazione giapponese, contenuto in Storia del cartone animato (Omnia Editore, 1960) di Enrico Gianeri (1900-1984) che lo firma con lo pseudonimo di Gec. Questo libro rappresenta il primo caso italiano di studio della storia del cinema d'animazione internazionale, dalle origini alle informazioni più recenti disponibili nel periodo in cui venne pubblicato. In esso trova appunto spazio anche l'animazione giapponese, trattata molto positivamente da Gianeri, il quale, sempre all'interno di questo volume, effettua un'importante precisazione sul diverso modo di intendere l'animazione in USA e in Europa, dal quale emerge chiaramente come l'evoluzione del disegno animato in Giappone sia maggiormente compatibile con la concezione dell'animazione in Europa.


La sezione del libro dedicata all'animazione giapponese inizia a pag. 270 (capitolo 12, dal titolo "Il serpente si morde la coda"), e, dopo la citazione sopra riportata, così prosegue: "se ricordiamo inoltre che Cinematografo e Disegno Animato sono figli gemelli della Lanterna Magica e delle Ombre, espressioni artistiche largamente diffuse in Oriente negli ambienti intellettuali, è facile dedurne che i primi vagiti dell'invenzione Lumière dovevano porre agli artisti nipponici il problema Cartone indirizzandolo innanzitutto verso lo spettacolo a silhou[e]ttes" (cfr. pag. 270-271). La tecnica dello spettacolo a silhouettes (le "ombre cinesi"), nota come "chiyogami" in Giappone, fu particolarmente valorizzata dal regista Noburo Ofuji, il quale ottenne anche un forte apprezzamento in Europa a partire dalla fine degli anni '20, come ricordato in questo articolo del blog.


Yureisen (1956),
di Noburo Ofuji

Gianeri, dopo aver ricordato le prime proiezioni pubbliche organizzate da Thomas Edison - nel 1897 a Kyoto, in "una baracca canne-e-carta del porto", di fronte "ad un gruppo di impassibili pescatori nipponici" (cfr. pag. 271) - e dai Lumière - i quali riuscirono a conquistare l'interesse dei giapponesi, mostrando loro le immagini dell'Occidente - in Giappone a cui fece seguito l'inizio dell'attività di produzione cinematografica nipponica, comincia ad affrontare gli esordi dell'animazione nel paese del Sol Levante, dove essa si sviluppò fin da subito in modo diverso da quella Occidentale, battendo un percorso alternativo a quello dei cortometraggi animati statunitensi basati su gag comiche ispirate ai film comici prodotti negli USA durante l'epoca del cinema muto (le "slapstick comedy"):

Il meccanismo del riso diverge assai tra occidentali e orientali. Charlot e Harold Lloyd lasciavano perfettamente indifferenti gli spettatori nipponici ed anzi il critico Sa[i]sei Muro trovava Chaplin piuttosto "malinconico" e quel suo "procedere da pinguino" - sono parole di Muro - non suscitava la minima ilarità in Giappone [col tempo anche Chaplin ottenne apprezzamenti e riconoscimenti in Giappone, venendo anche citato in serie televisive animate come Cutie Honey (inedita in Italia) e Trider G7]L'Orientale conosce ancora il valore della grazia e del riso discreto. Per ciò i Disegni Animati, nei quali fra tutti eccelle il nome del gruppo-familiare di Noburo Ofuji, si è orientato più verso la delicata illustrazione di argomenti poetico-fiabeschi che verso il film a gags. Illustrazione che, naturalmente, preferisce il bianco nero e grigio tradizionale - qualcosa come l'Aschenbrodel [Cenerentola, 1922] di Lotte Reiniger ma meno rigido, meno sforbiciato, con una delicatezza di pennello ed una morbidezza vellutata di toni. Ofuji ritaglia i suoi elementi essenziali in celluloide trasparente e li dispone, prima di fotografarli, alla maniera che usava [Henri] Rivière per ottenere allo Chat Noir i suoi molteplici piani. Il risultato più efficace, o almeno più noto, di questa tecnica è "Yuerei Sen" [storpiatura di "Yureisen", lett. "La nave fantasma", 1956] della TOHO. Una specie di "Vascello Fantasma" nipponico realizzato con una delicatezza da pittura su seta. (...)
Yureisen (1956), di Noburo Ofuji
[Segue racconto della trama di Yureisen, opera così commentata da Gianeri al termine del paragrafo:] Epico è il risultato grafico di questa orribile mischia spettri-corsari. Il film è realizzato in bianco e nero alla Caran d'Ache, o alla Reiniger, se vogliamo, con tenui colori acquerellati, caratteristicamente giapponesi sulle gamme del rosa e dell'azzurro". (cfr. pag. 272-273).
Dopo aver esposto il suo apprezzamento per il cortometraggio horror Yureisen di Ofuji, Gianeri prosegue il discorso sull'animazione nipponica parlando di Sanae Yamamoto [indicato come "Zemiro Yamanato" nel libro di Gianeri, alludendo al vero nome di questo artista: "Zenjiro Yamamoto"], attivo come animatore, regista e produttore di opere d'animazione. Come ricordato nel libro di Gianeri, fu Yamamoto a contribuire, insieme ad altri animatori e registi, alla fondazione, nel 1947, della casa di produzione Nihon Dogasha [indicata come "Nippon Doga Sha" nel libro di Gianeri] responsabile della realizzazione di importanti cortometraggi come Tora-chan to Hanayome [lett. "Tora-chan e la sposa", 1948], ultima opera diretta da Kenzo Masaoka. Ad essa prese parte anche lo sceneggiatore Yoshihito Matsuzaki, del quale Gianeri cita, con qualche storpiatura, anche i cortometraggi Poppo-ya san: Nonki ekicho (lett. "Poppo-ya san: il capostazione senza preoccupazioni", diretto da Masao Kumagawa nel 1948 e creato per evidenziare l'utilità delle ferrovie nelle pubbliche relazioni) e Kobito to aomushi (lett. "Lo gnomo e il bruco", 1950, regia di Hideo Furusawa). In tutte queste opere prodotte dalla Nihon Dogasha fu coinvolto l'animatore Yasuji Mori  (uno dei maestri di Hayao Miyazaki), il cui lavoro è apprezzato da Gianeri, il quale definisce "suggestive" le sue animazioni del cortometraggio Kousagi Monogatari (lett. "Storia di un coniglietto", 1954, di Hajime Yuhara), prodotto da una nuova società chiamata Nichido Eigasha, fondata nel 1952 da Sanae Yamamoto dopo il fallimento della Nihon Dogasha nel 1951.

Yasuji Mori

Gianeri, pur senza riportare il passaggio da Nihon Dogasha a Nichido Eigasha, segnala altri cortometraggi realizzati in questo periodo, come Tora-chan no boken (lett. "L'avventura di Tora-chan", 1955) di Hajime Yuhara, al quale collaborò l'animatore Akira Daikuhara (indicato anche come "Daikubara" in vari siti web o nei libri più recenti), il quale prese parte insieme a Yasuji Mori al primo cortometraggio animato a colori, Ukare Violin (lett. "L'allegro violino", 1955), commissionato dal Dipartimento Film Educativi della casa di produzione Toei e diretto da Taiji Yabushita, regista, l'anno seguente, di Kuroi Kikori to Shiroi Kikori (lett. "Il taglialegna buono e il taglialegna cattivo"), alle cui animazioni partecipò nuovamente Yasuji Mori.


Koneko no Rakugaki (1957)

Nel 1956, come spiegato con qualche imprecisione da Gianeri, la Toei assorbì la Nichido Eigasha, ribattezzandola "Toei Doga" e creando "un modernissimo studio dove furono realizzati i migliori e più moderni Cartoni Animati Nipponici" (cfr. pag. 274). A partire dall'anno seguente cominciò la distribuzione di nuovi cortometraggi, come Koneko no Rakugaki (lett. "Gli scarabocchi del gattino", realizzato in bianco e nero) di Yabushita e come Kappa no Pataro (lett. "Pataro il Kappa", indicato sul web anche come "Kappa no paataro") di Yoshiaki Hananohara, ai quali prese parte Yasuo Otsuka, futuro mentore di Isao Takahata e Hayao Miyazaki. A Kappa no Pataro partecipò come intercalatrice Kazuko Nakamura, non segnalata da Gianeri ma presente nello stesso ruolo all'interno dello staff di un'altra opera da lui citata, il cortometraggio Yumemi Doji (lett. "Il ragazzo del sogno") del 1958, produzione che nonostante si avvalse del prestigioso apporto del pittore Koji Fukiya, fu spesso ignorata o giudicata negativamente, ma che viene ricordata da Gianeri, descrivendola come un'opera "a sfondo folcloristico" (cfr. pag. 274). Il 1958 fu soprattutto l'anno in cui venne distribuito il film "Hakujaden" ("La leggenda del serpente bianco", tradotto come "Il Serpente Bianco Incantatore" da Gianeri), il primo dei lungometraggi d'animazione prodotti dalla Toei, come raccontato dallo stesso Gianeri:

[Hakujaden] riveste una importanza particolare poiché fu il primo Disegno Animato lungometraggio nipponico a colori scaturito dalla collaborazione di ottimi disegnatori, come Akira Daikuhara e Yasuji Mori, e grazie alla sceneggiatura e regia di Taiji Yabushita. Fu prodotto da Hiroshi Okawa e le sue canzoni vennero interpretate dai popolari Hisaya Morishige, Mariko Miyagi.
Fotogramma di Hakujaden, dal libro di Gianeri
La produzione del 1959 è risultata più interessante ancora. [Y]asuji Mori ha creato i cartoni per un cortometraggio favolistico a colori "Koneko No Sutajo" con canzoni di Meiko Nakamura [si tratta di "Koneko no Sutajio", lett. "Lo Studio del Gattino"]. Il film riscosse un premio al Festival del Film Educativo del medesimo anno. Masao Kuma[g]awa, con la collaborazione del cantante Kotsu Mimasuya animava un'altra suggestiva favola "Tanukisan Oatari" [riferimento a Tanuki-san Oatari], mentre il notissimo disegnatore Akira Daikuhara riusciva a dare al Giappone il primo Cartone lungometraggio in cinemascope a colori con un popolare racconto per i bambini "Shonen Sarutobi Sasuke" (Avventure del Piccolo Samuraj), diretto da Chigao Tera. [in realtà, la regia del film è accreditata a Yabushita e Daikubara].

Fotogrammi da Shonen Sarutobi Sasuke,
dal libro di Gianeri
Attualmente, 1960, è in corso di realizzazione un secondo lungometraggio cinemascope a colori di Osamushi Tezuka e per la regia di Taiji Yabushita, intitolato "Saiyuki" [poi distribuito, in Italia, col titolo "Le tredici fatiche di Ercolino"], e ispirato ad un classico della letteratura infantile cinese. (...) In genere i lungometraggi si aggirano sugli 80 minuti di proiezione. Oltre la "Toei" che regna sul Cartone Animato Nipponico, vi sono in Giappone anche alcune altre case minori come la "Chiyogami Eiga Sha", la "Nippon Animation Eiga Sha", la "Otogi Pro" ecc, che producono lodevoli e fascinosi cortometraggi disegnati. (cfr. 274/277).
Oltre alle produzioni a disegni animati, Gianeri segnala anche opere realizzate con altre tecniche d'animazione, come l'uso dei fantocci per il film Wakagaeri no izumi (lett. "La fontana della giovinezza") tratto da un'antica fiaba raccolta dallo scrittore Lafcadio Hearn, o come l'uso del chiyogami per Ojo to yubiwa (1956), scritto e diretto da Shin Uehara.

L'utilizzo del chiyogami e delle ombre per realizzare opere d'animazione che accomuna il Giappone alle creazioni dell'artista tedesca Lotte Reiniger, non è l'unico punto di contatto tra la tradizione dell'animazione europea e quella nipponica. Nel suo volume, Gianeri effettua un'importante distinzione tra il modo di intendere l'animazione negli USA e in Europa, dal quale emergono ulteriori analogie culturali tra il nostro continente e il paese del Sol Levante:
La differenza fondamentale tra il Cartone Americano e quello Europeo consiste particolarmente nell'impostazione ispirativa: il primo è favolistico, si basa quasi esclusivamente sugli animali e sconfina nel "non-sense" di pura marca anglosassone con le "Silly Simphonies"; mentre il secondo richiede il personaggio. L'offensiva di Stephen Bosustow contro Walt Disney col suo Mister Magoo parte appunto da questi presupposti: personaggio contro animale. (...) È ben vero che il personaggio impegna maggiormente l'Artista tantoché il cartoonist di film favolistico cade non appena deve risolvere personaggi veri sia pure in chiave caricaturale. (cfr. pag. 211).
La pastorella e lo spazzacamino (1953),
dal libro di Gianeri

Fu proprio la massiccia presenza di personaggi umani coinvolti in storie non umoristiche ma dotate di elementi drammatici, a spingere tante persone ad interessarsi all'animazione giapponese nel nostro paese. E fu sempre la presenza di personaggi umani coinvolti in una storia dai risvolti socialisti in un film d'animazione europeo, a segnare un'importante svolta nel mondo dell'animazione internazionale: si trattò del film La pastorella e lo spazzacamino ("La bergère et le ramoneur", 1953) di Paul Grimault, opera elogiata da Gianeri, che divenne un essenziale punto di riferimento nonché un accurato oggetto di studio per Yasuo Otsuka e Isao Takahata, durante la creazione del lungometraggio Hols il principe del sole (aka "La grande avventura del piccolo principe Valiant", 1968), al quale lavorò anche Yasuji Mori, occupandosi delle animazioni del personaggio di Hilda.


Il libro scritto da Gianeri, insieme al volume I Primi Eroi (Garzanti, 1962) dedicato al fumetto internazionale, è dunque un fondamentale testo da riscoprire per comprendere come già negli anni '60 in Italia, ci furono i primi segnali di interesse e di attenzione nei confronti dell'animazione e del fumetto giapponese, e per approfondire i numerosi legami culturali esistenti tra Europa e Giappone.

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N. B. (Aggiornamento del 10/04/2017): Per completezza, si riportano alcune informazioni sull'animazione giapponese provenienti da due libri precedenti alla pubblicazione del volume di Gianeri, il quale risulta comunque essere l'autore che per primo è riuscito meglio ad approfondire l'animazione nipponica in Italia.
Riedizione del 2013

Il primo libro che si segnala è Il cinema per ragazzi e la sua storia (1953, rieditato nel 2013 da Ginevra Bentivoglio EditoriA) di Mario Verdone, padre dell'attore e regista Carlo Verdone. Al suo interno si trova il seguente riferimento all'animazione nipponica, citata in seguito a quella neozelandese:

La Nuova Zelanda inviò alla Mostra di Venezia, nel 1952, un modesto cortometraggio su scimmie ammaestrate ad andare in bicicletta: Storie di scimmie.
La Nuova Zelanda - poiché il nostro panorama ci ha portato così lontano - non è il solo paese d'Estremo Oriente che annovera tentativi di tal genere. Anzi, è il Giappone che in questa strada ha più progredito. Henry Storck [riferimento al belga Henri Storck], nel suo libro "Le film récréatif pour spectateurs juveniles["Il film ricreativo per i giovani spettatori", 1950, Edizioni Unesco, inedito in Italia] cita più di venti film giapponesi per ragazzi, e fra questi: La scimmia operatore cinematografico, Il gatto abbandonato, Il pescatore perfetto, Storia di un alberone, Baseball fra gli animali, Capostazione spensierato, Il vitello che scompare, Che bel colpo!
(cfr. pag. 72; il libro di Henri Storck è reperibile gratuitamente in formato pdf a questo link del sito web dell'Unesco)


Mario Verdone parla del film Shonen Sarutobi Sasuke ("Il piccolo samurai")
Tratto dall'articolo L'italia non è un paese povero,
dal n. 7 della rivista Bianco e Nero - Rassegna mensile di studi cinematografici (luglio 1960)
(fonte)

Copertina del libro di Walter Alberti
(fonte)

Il secondo libro è invece Il cinema di animazione 1832-1956 (edito da Edizioni Radio Italiana, 1957), di Walter Alberti, il quale si sofferma in particolare sul regista Noburo Ofuji (senza fare riferimento al suo film di Pinocchio del 1932, ritenuto perduto, come raccontato in questo articolo del blog) e sulla sua opera La nave fantasma (Yureisen) del 1956:

L'arte dei giochi di pazienza ha conosciuto il suo massimo splendore in Cina e le ombre cinesi, variante animata di quest'arte, sono ormai considerate come il primo capitolo della preistoria del cinema. Da quel poco che ci è stato dato da vedere, si può prevedere che l'Oriente potrà incantarci e sorprenderci nel dischiudere i suoi leggendari forzieri pieni di colore e di immagini fatte di pura magia. 
I giapponesi hanno puntato con decisione sulla tradizione delle ombre e mostrano di aver afferrato perfettamente il senso del cinema d'animazione.
Dal cortometraggio Yureisen di Noburo Ofuji
Immagine tratta dal libro di Walter Alberti
Noburo Ofuji e la sua famiglia, in pochi anni, lavorando in perfetta armonia, hanno realizzato due film che a vari Festival internazionali hanno avuto riconoscimenti di primo piano. Noburo Ofuji innesta la tecnica di Lotte Reiniger direttamente sulla materia leggendaria del suo paese e naturalmente la sua arte decorativa ha maggior gioco lavorando su una tradizione di prima mano, che non la maniera di Lotte Reiniger. La Reiniger seguiva la tradizione europea del teatro delle ombre, mentre Ofuji non ha che da immergersi nel folklore del Giappone per tradurre la suggestione di un'arte millenaria: l'arte che faceva parlare le magiche ombre dando loro vita, espressione e movimento. 
Ofuji applica al gusto della "silhouette" una tecnica di realizzazione frutto di moderne applicazioni in uso anche presso altre scuole di animazione. Egli ritaglia la sua materia su celluloide colorata opaca e trasparente. Ogni elemento della composizione è ricavato da materia ritagliata. Personaggi, oggetti, e fondi hanno quindi il loro proprio colore che crea spazi e distanze con suggestivo effetto decorativo.
Altra immagine di Yureisen di Ofuji
Dal libro di Alberti

Tra i suoi film il più noto è indubbiamente
 Yurei Sen (La nave fantasma). Nel Mar Giallo vaga lugubre e silenziosa una nave di fantasmi, che la bonaccia culla e le tempeste sballottano. Ombre disperate vagano a bordo e le vele sono stracciate. Ecco l'antica leggenda. (...) Le ombre nere, i bianchi fantasmi, i balli delle fanciulle, i canti dei pirati creano un'atmosfera leggendaria. Lo stile, sicuramente impostato, sostiene il racconto e tutti gli elementi decorativi esprimono un senso incantato di poesia al quale è difficile sottrarsi. Il clima nostalgico della prima parte del film si fa incalzante quando i pirati sferrano l'abbordaggio, diviene sferragliante tragedia quando i pirati uccidono e depredano e si tramuta in danza parossistica allorché le ombre dei morti ingannano i pirati e si vendicano, danzando sul ponte della nave maledetta con una sfida orribile. Poi ritorna la calma e il lento veleggiare sulle onde di celluloide della nave corsara, dalle cui sartie pendono per l'eternità i cadaveri dei pirati, nere "silhou[e]ttes" contro un mare rosa e celeste.
 
Quando il film vuole essere pura decorazione e le danze si intrecciano con motivi ornamentali, il gioco dei colori (cioè dei vari fogli di celluloide colorata sovrapposti) diventa indescrivibile. La particolare materia impiegata dà effetti insperati e sembra che le figure siano formate da un fumo colorato instabile e capriccioso. Impresa disperata tentare di descrivere i giochi caleidoscopici. 
(cfr. pag. 169/171) 


4 commenti:

  1. Ottimo articolo! Anch’io possiedo una copia del mitico libro di Gec e anche io citai il libro e alcuni suoi stralci in uno dei miei due saggi apparsi nel 2005 nel libro “Con gli occhi a mandorla” curato da Roberta Ponticiello e Susanna Scrivo (Tunué).

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