Parlando di nucleare in rete, si è spesso fatto riferimento a film che hanno denunciato la pericolosità di questa forma di energia, come Sindrome Cinese (1979) di James Bridges, Silkwood (1983) di Mike Nichols e soprattutto Sogni (1990) di Akira Kurosawa, opera realizzata grazie al sostegno di Steven Spielberg, George Lucas, Martin Scorsese e di Ishiro Honda, regista di Godzilla e grande amico di Kurosawa.
Sogni è spesso citato nel web sia perché appartiene alla stessa nazione che, dall'11 marzo 2011, sta affrontando il pericolo provocato dal danneggiamento di una centrale nucleare, sia perché in uno degli 8 episodi che lo compongono – intitolato “Fujiama in rosso” nell’edizione italiana in vhs della Warner, ma in rete lo si trova più correttamente citato come “Fuji in rosso” –, è evidente la denuncia della pericolosità del nucleare e dell’incoscienza umana, rendendo così palese come non tutti i giapponesi siano sempre stati favorevoli all’uso di questa fonte energetica.
Sogni rappresenta la seconda delle tre opere in cui Kurosawa ha
affrontato il tema del nucleare, preceduta da Testimonianza di un essere
vivente (1955, noto anche come “Vivo nella paura” o “Se gli uccelli lo
sapessero”) – è la storia di un anziano imprenditore che, negli anni ’50, è
ossessionato fino alla follia dalla pericolosità e dall’imminenza di una nuova esplosione
atomica –, e seguita da Rapsodia in Agosto (1991) – incentrata
sul ricordo della devastante tragedia umana provocata dalla
bomba atomica di Nagasaki –. Tuttavia è in Sogni,
film surreale composto da 8 episodi (alcuni affascinanti e fiabeschi, altri girati
come dei terrificanti incubi), che si affronta, ricorrendo al mondo onirico, il caso di un disastro nucleare provocato
da una calamità naturale.
Rapsodia in Agosto |
L’interesse verso i sogni e gli incubi, scaturisce nel regista giapponese da un’opinione dello scrittore russo Dostoevskij (di cui Kurosawa girò un adattamento de L’idiota nel 1951, reperibile in dvd in Italia), secondo il quale i sogni “sono l’espressione visiva dei nostri desideri e delle nostre angosce sepolte nel profondo di noi stessi” (cfr. Aldo Tassone, Akira Kurosawa, Il Castoro, 2004, p. 116). Da questo spunto, Kurosawa sviluppa questa sua pellicola, spiegando come “i sogni traducono desideri e paure in maniera fantastica, in una forma totalmente libera” (cfr. Tassone, op. cit., p. 116), mettendo però in guardia la critica cinematografica, aggiungendo che “cercare di interpretare i sogni razionalmente è un controsenso” (cfr. Tassone, op. cit., p. 116). La paura della catastrofe nucleare e della conseguente diffusione delle radiazioni ben si presta ad essere rappresentata come un incubo.
Kwaidan, di Masaki Kobayashi |
L’episodio si apre mostrando una massa di persone che fuggono a piedi, sollevando una fitta coltre di polvere e lasciando vuote le proprie auto, mentre alle loro spalle incombono esplosioni e il rumore dell’imminente eruzione del Monte Fuji (questo il nome corretto del noto vulcano dalla estremità conica innevata, a volte erroneamente chiamato “Fujiama” o “Fujiyama” in Occidente). Sopra al vulcano, il cielo ha assunto un colore rossastro ed è interamente ricoperto da minacciose nubi, scelta registica coerente con la tradizione giapponese di ricorrere a scelte cromatiche irreali ma efficaci sul piano spettacolare ed emotivo, tipica di film horror come Kwaidan (1964) di Masaki Kobayashi, di tante opere animate nipponiche (Jeeg Robot d’Acciaio, I Cinque Samurai), e di popolari pellicole italiane in Giappone, come Suspiria (1977) di Dario Argento.
Fuji in rosso, di Katsushika Hokusai |
L'eruzione del Fuji in Sogni |
L’eruzione del Fuji, vulcano ancora attivo, è realmente temuta dalla popolazione giapponese ed il fatto che Kurosawa abbia deciso di mostrarla nel suo film non è dunque una casualità, ma una sua precisa intenzione di spiegare come possa esserci qualcosa di ancor più pericoloso di essa.
Mentre l’alter ego del regista - un adulto senza nome interpretato da Akira Terao, presenza ricorrente in vari episodi di Sogni - è preoccupato per l’imminente eruzione, una donna - incarna l’emotività, la maternità e il punto di vista delle persone comuni - con due figli molto piccoli - nel corso dell’episodio avremo modo di vedere come quei due bambini siano simbolicamente vestiti di rosa e azzurro, rappresentando entrambi i sessi -, gli risponde che c’è qualcosa di molto più grave: “Una centrale nucleare sta andando a fuoco”. La centrale, come rivelato da un altro uomo, vestito in modo elegante e con gli occhiali - rappresenta la razionalità e la scienza umana -, sopraggiunto sul posto, è la più grande del Giappone ed è composta da sei reattori atomici.
Sebbene non venga rivelato esplicitamente, si intuisce come la centrale sia
stata costruita in modo irresponsabile alle pendici del vulcano, senza tenere
conto che esso era ancora attivo e destinato a risvegliarsi, proprio come nella
realtà la centrale di Fukushima Daiichi è stata collocata vicino alla costa oceanica
dove c’era il pericolo tsunami, che ha superato in potenza le previsioni degli
scienziati nipponici - in proposito, va sempre ricordato come scienza e conoscenze umane, in
materia di sismi e tsunami, non sono infallibili e necessitano di continue
ricerche per migliorarsi -.
Mentre il Fuji assume un aspetto
sempre più infernale, l’uomo
colto commenta con estrema lucidità quanto sta accadendo, spiegando che “il
Giappone è piccolo. Fuggire è inutile”,
ma ad esso risponde la donna: “Sì lo sappiamo tutti. Fuggire non serve, però… Però se non fuggi che cosa ti resta da
fare?”.
I protagonisti di Fuji in Rosso |
L’inquadratura lentamente si alza e ci mostra i tre protagonisti nei pressi di una scogliera, con alle spalle l'oceano. L’alter ergo del regista si chiede dove sono tutte quelle persone che stavano scappando, ricevendo la risposta dell’uomo colto: “Sono tutti nel fondo dell’oceano”. Piuttosto che farsi avvelenare dalle radiazioni, hanno preferito suicidarsi, così come l’11 settembre 2001 diverse persone intrappolate ai piani alti delle Torri Gemelle, preferirono uccidersi lanciandosi nel vuoto, pur di evitare di morire lentamente a causa delle fiamme e del fumo.
Cesio (viola), Stronzio (giallo) e Plutonio (rosso) |
In risposta alla donna che ritiene i delfini che nuotano nell’oceano più fortunati degli uomini, l’uomo colto spiega come la radioattività raggiungerà presto anche loro. Non vi è dunque, per nessun essere vivente di questo pianeta, possibilità di sfuggire all'arrivo degli elementi chimici più pericolosi, rappresentati da dei fumi di tre colori diversi, che si avvicinano lentamente, venendo così descritti dall’uomo colto: il fumo rosso è il Plutonio 239 (“di quello basta pochissimo, un decimillionesimo di grammo ed è cancro”); quello giallo è lo Stronzio 90 (“ti entra dentro le ossa ed è leucemia”); il viola è il Cesio 137 (muta i geni degli esseri viventi: “le creature che nasceranno, saranno tutte mostruose”).
L’uomo colto prosegue con la sua
analisi di quanto sta accadendo, costatando quanto sia “incredibile
l’imbecillità umana. Tra i rischi della
radioattività c’è che è invisibile. Così abbiamo sviluppato la tecnologia per
rendere visibile il rischio. E ora abbiamo il vantaggio di sapere che cosa ti
ha ucciso. Bel vantaggio! La morte si annuncia con la sua carta da visita”.
Mentre gli altri personaggi sono ammutoliti e terrorizzati, l’uomo li saluta e si incammina verso la scogliera, lasciando intendere
la sua decisione di uccidersi e di attendere, sul fondo dell’oceano, i loro
suicidi. L’alter ego prova a chiedere all’uomo se è vero che la radioattività
non uccide subito, ma lui risponde che “una morte rapida e certa, è molto
meglio che consumarsi in una lunga agonia”, suscitando la reazione della madre:
“Per gli adulti che hanno già vissuto la
morte è una cosa, ma per i bambini che ancora quasi non hanno cominciato a
vivere…”. Affermazione che fa riflettere su quanto sia devastante, per i più giovani, essere coinvolti in un disastro nucleare.
L’uomo colto le risponde,
chiedendole se aspettare di morire per via della radioattività possa essere chiamato
“vivere”, suscitando la furiosa reazione della donna: “Avevano detto che le centrali erano sicure! Che il rischio era solo
nell’errore umano! Non ci sono pericoli nella centrale in sé! Se non si
sbaglia, non c’è problema! Io non perdono chi ci ha detto queste cose, non li
perdono! Io prima di morire vorrei vederli impiccati! Tutti impiccati, vorrei
vederli!”. Parte di queste parole sono divenute realtà, quando i civili sfollati e/o evacuati dalle aeree vicine alla centrale di Fukushima Daiichi, si sono
ritrovati faccia a faccia con dei rappresentanti della Tepco, la società che
gestisce quell’impianto nucleare.
L’episodio prosegue con le
parole dell’uomo che rassicura la donna sulla mortale sorte
che attende i responsabili della catastrofe e svela la sua identità: “io sono uno di quelli che andrebbero
impiccati”; per poi suicidarsi senza essere inquadrato
dalla cinepresa. Ora restano solo la donna coi suoi figli e l’alter ego del
regista che, in un istintivo e disperato gesto protettivo, si toglie la giacca
per scacciare i fumi radioattivi,
mentre inizia la dissolvenza in nero che conclude l’episodio.
Il villaggio dei mulini |
Dopo questo terrificante incubo senza speranza, Sogni prosegue con l'episodio “Il demone che piange” - ambientato in un desolato scenario futuribile, dove persone e piante sono state mostruosamente mutate dalle radiazioni -, per poi concludersi con “Il villaggio dei mulini”, in cui si palesa il pensiero del regista (il quale, all’uscita del film nelle sale che coincise con il raggiungimento dei suoi ottant’anni, spiegò come, giunto a quell’età, un uomo abbia soprattutto il compito di dire la verità), su quanto sia importante vivere rispettando la natura e i suoi tempi, senza sottovalutarla o tentare di annichilirla, usandone le risorse per ricavarne energia priva di rischi per la salute umana; facendo a meno di tante cose che normalmente ci appaiono indispensabili, ma che in realtà non sono che futili, o gravemente pericolose per noi e per il nostro pianeta.
N. B. Prima pubblicazione: giugno 2011 sul sito www.ilcapoluogo.it
E' il film che più amo del grande Akira, e non a caso Yume è il mio nick, dove serve. Ottima analisi del tema, trovo che, ancora più agghiacciante, se possibile,sia il destino dei superstiti, su cui la metafora è potente nel risvolto socio-politico. Chi sopravvive avrà un insolito destino. Una volta recuperata la fisionomia mostruosa delle origini, ritroverà una collocazione di classe e saprà da chi sarà divorato e quando, bisogna solo essere nella categoria sottostante. Yume è un'opera immensa, quella in cui si raccoglie tutto il lascito della sua vita di artista, i due ultimi, Rapsodia d'agosto e Madadayo non reggono il confronto pur essendo belli, come tutto quello che il tocco di Kurosawa rende assolutamente prezioso.
RispondiEliminaPaola ti ringrazio per il tuo commento e per aver apprezzato questo mio articolo. Anch'io come te sono molto legato a questo film e lo considero una delle prove migliori di Kurosawa, ricca di spunti di interesse e di riflessione sull'arte, sull'infanzia, sul rapporto uomo/natura, sulla società nipponica e su tante altre tematiche.
EliminaE' vero quello che scrivi, l'episodio "Il demone che piange" è agghiacciante nel suo raccontare cosa è accaduto ai sopravvissuti di un disastro nucleare.