martedì 31 marzo 2020

"Hiroshima, quel giorno" (1975) - Reportage Rai sulle conseguenze della bomba atomica



Si fornisce un resoconto del reportage giornalistico televisivo Hiroshima, quel giorno, curato da Francesco De Feo, trasmesso originalmente da Raiuno (all'epoca chiamato "Programma Nazionale") in due parti nel 1975, andate in onda entrambe di sabato, rispettivamente il 2 agosto (titolo della prima puntata: "Hiroshima, quel giorno") e il 9 agosto (titolo della seconda puntata: "Hiroshima, il giorno dopo"), in occasione del trentesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima (avvenuto il 6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945). Dall'analisi del reportage emergono importanti elementi poco noti all'opinione pubblica italiana, grazie alla presenza di interviste dal grande valore storico.


Palinsesto del 2 agosto 1975
La prima parte del reportage su Hiroshima è programmata alle 21:50
Dal Radiocorriere TV n. 31, agosto 1975
La seconda parte del reportage, trasmessa il 9 agosto allo stesso orario
Dal Radiocorriere TV n. 32



Le due puntate, trasmesse entrambe alle 21:50, vennero presentate nel seguente modo sul settimanale Radiocorriere TV, all'epoca testata ufficiale della Rai:

Dal Radiocorriere n. 31, 1975

Dal Radiocorriere n. 32, 1975

Di questo reportage suddiviso in due parti, ciascuna della durata di circa 50 minuti, ne è stata trasmessa da Rai Storia, all'interno del ciclo "Mille Papaveri Rossi" il 6 agosto 2013, un'edizione riassuntiva composta da un'unica puntata della durata di circa 40 minuti ed è proprio questa edizione ad essere stata presa in esame per questo articolo. Purtroppo a causa dei tagli effettuati a quest'edizione, alcune testimonianze raccolte da De Feo risultano essere anonime, poiché in alcuni casi non viene indicato il nome e/o la professione lavorativa della persona intervistata.

Il reportage di De Feo su Rai Storia nel 2013

Fatta questa necessaria premessa, si può passare a raccontare il primo degli spunti di interesse offerti da Hiroshima, quel giorno, dato che il reportage inizia ponendo l'attenzione sul problema avuto da una larga parte degli abitanti della città nipponica, di procurarsi dei vestiti subito dopo l'esplosione atomica. Di questa emergenza se ne occupò Shinzo Hamai (1905-1968, a volte indicato come "Shinso Hamai"), divenuto ufficialmente sindaco di Hiroshima a partire dall'aprile 1947, ma che già dal 1935 iniziò a lavorare nel municipio della città nipponica, raggiungendo un ruolo di comando il giorno stesso dell'esplosione atomica - fortunatamente essa lo ferì solo in modo lieve -, come emerge dalla seguente testimonianza di un suo collaboratore, Shingo Takubo, tratta dal reportage curato da Francesco De Feo:
Shinzo Amai in quel 1945 aveva 30 anni e lavorava con me in un ufficio che si occupava del razionamento dei viveri. Il sindaco di Hiroshima [Senkichi Awaya] e buona parte degli amministratori del Comune morirono in seguito all'esplosione [nucleare]. I superstiti si riunirono nel Tempio di Tamon-in per discutere sui provvedimenti da prendere. I pareri erano discordi. Allora Hamai si insediò nelle due uniche stanze del municipio non completamente distrutte e cominciò a governare. Nella stessa notte del 6 agosto riuscì a distribuire alcune cucine di fortuna in vari punti della città. Senza badare a formalità burocratiche, fece requisire tutte le derrate alimentari che si riuscì a scovare ad Hiroshima e soprattutto nei villaggi vicini. Ma il capolavoro di Hamai fu la requisizione dei magazzini militari di vestiario. Si trovavano nelle vicinanze di Saijo, a parecchi chilometri da Hiroshima. Le autorità militari non si opposero, ma non potevano far nulla per provvedere al trasporto sino ad Hiroshima di quelle centinaia di tonnellate di equipaggiamenti. Non avevano più benzina per i camion. Tuttavia Hamai compì il miracolo: aiutato dai soldati della sussistenza, riuscì a trasportare, servendosi di carri agricoli, biciclette e persino carrozzine per bambini, tutte quelle uniformi fino ad Hiroshima, così l'intera popolazione poté essere rivestita di divise, scarpe, camicie, mutande, dell'esercito imperiale nipponico. Uomini, donne, bambini, tutti: sani, feriti e storpi.
Shinzo Hamai, il sindaco di Hiroshima nel dopoguerra, è l'uomo a destra nella foto

Shingo Takubo nel reportage Rai

Come già accennato, Hamai divenne poi ufficialmente sindaco di Hiroshima nel 1947, continuando a ricoprire quella carica fino al 1955, per poi essere rieletto dal 1959 al 1967, morendo l'anno seguente a causa di un infarto. Durante la sua attività come sindaco, Hamai guidò la ricostruzione di Hiroshima, creandone la fama di "città della pace", istituendo dal 6 agosto 1947 la ricorrenza annuale del Festival della Pace ("Peace Festival", poi divenuto "Peace Memorial Ceremony"), ricevendo in visita nell'agosto 1949 il giornalista statunitense Norman Cousins (1915-1990), parlandogli della necessità dell'aiuto americano nella ricostruzione della città di Hiroshima, nella gestione dei feriti dalla bomba atomica, e nel trasmettere un messaggio di pace al resto del mondo affinché non si ripetesse mai più quanto accaduto a Hiroshima e Nagasaki.


A sinistra Shinzo Hamai e, di spalle, Norman Cousins
La fotografia fu inserita all'interno dell'articolo Hiroshima Four Years Later di Cousins
(fonte)

Cousins all'epoca lavorava per il 
Saturday Review of Literature, testata sulla quale, in seguito al suo incontro con Hamai, pubblicò l'articolo "Hiroshima Four Years Later" ("Hiroshima quattro anni dopo") nel numero datato 17 settembre 1949, dove avanzò la proposta dell'adozione morale ("moral adoptions") degli orfani della città di Hiroshima da parte di famiglie degli Stati Uniti, le quali avrebbero potuto contribuire alla crescita dei bambini giapponesi attraverso donazioni economiche a distanza, rimanendo negli USA. Cousins suggerì, inoltre, la proposta di una nuova legge al governo americano, per consentire agli orfani di Hiroshima di poter recarsi negli Stati Uniti, rendendo così possibile l'adozione effettiva degli orfani alle famiglie statunitensi intenzionate a farlo. Come indicato in questo articolo inglese del sito web dell'Hiroshima Peace Center, alla fine del 1953 furono 409 gli orfani di Hiroshima e di altre città nipponiche che, insieme ai figli di famiglie giapponesi molto povere, vennero "adottati moralmente" a distanza da famiglie statunitensi. In segno di riconoscenza all'impegno di Cousins in favore della città di Hiroshima - il giornalista si occupò anche, nel 1955, dell'accoglienza e dell'assistenza medica negli USA di alcune donne di Hiroshima (note come "le Vergini di Hiroshima", o "Hiroshima Maidens") rimaste gravemente ferite e sfigurate nel giorno della bomba atomica - e nella tutela dei bambini nipponici, gli fu assegnata nel 1964 la cittadinanza onoraria di Hiroshima, mentre nel 2003 gli fu reso omaggio con l'inaugurazione di un monumento a lui dedicato, collocato all'interno del "Parco della Pace" di Hiroshima ("Hiroshima Peace Memorial Park").

Le pagine iniziali dell'articolo di Norman Cousins pubblicato nel settembre 1949
(fonte)

Il monumento dedicato a Norman Cousins che si trova nel "Parco della Pace" di Hiroshima
(fonte)

L'incontro tra Hamai e Cousins a Hiroshima è citato in un momento successivo del reportage Rai di De Feo, dove è presente il seguente estratto dall'articolo di Cousins del 1949, nel quale si pone l'attenzione sul degrado in cui versava un ospedale di Hiroshima:

Si vedono letti composti di sole assi di legno: né lenzuoli, né cuscini. Stanze non più grandi di un armadio a muro, stipate con 4 o 5 pazienti. In un angolo un tavolo operatorio che si distingueva assai poco da un bancone di macellaio. Compresi allora quello che intendeva il sindaco Hamai quando mi aveva detto che Hiroshima aveva disperato bisogno dell'aiuto dell'America per curare i propri malati.
I medici e gli infermieri assistono un ferito in ospedale a Hiroshima
Dal reportage Rai
Un medico assiste una donna ferita in ospedale a Hiroshima
Dal reportage Rai

Restando in tema giornalistico, dopo aver parlato di Hamai, il reportage di De Feo prosegue con un'intervista al reporter Kaoru Katashima dell'agenzia di stampa Dōmei (nome internazionale: "Dōmei News Agency"; nome giapponese: "Domei Tsushinsha", cioè "agenzia di stampa federale"), che fu l'agenzia di stampa ufficiale dell'Impero giapponese, attiva dal 1936 al 1945:

Quando la bomba cadde mi trovavo in gita con due amici. Tornammo immediatamente in città. La mia casa era stata distrutta, dei miei genitori nessuna traccia. Solo alla fine di agosto riuscii a trovare i loro resti, delle povere ossa calcinate. Le riposi in una cassetta in attesa di poter dar loro una dignitosa sepoltura. E con quella cassetta a tracolla partecipai alla riunione [degli scienziati] del 3 settembre [a Hiroshima]. Avrei voluto telegrafare al rappresentante dell'agenzia Dōmei a Lisbona, le terribili conclusioni [a] cui si era giunti. Avrei potuto farlo perché nonostante la capitolazione, le comunicazioni della stampa giapponese con i corrispondenti dai paesi neutrali, funzionavano ancora. Ma per stendere l'articolo mi occorrevano i suggerimenti di uno scienziato. Pregai il professor [Chuta] Tamagawa di aiutarmi.
Kaoru Katashima nel reportage Rai

Chuta Tamagawa
 (1897-1970) fu un patologo che, dopo essersi scontrato con la burocrazia e con la reticenza di alcuni suoi colleghi (arrivando al punto di entrare nella casa di uno di loro, il dottor Michihiko Hachiya [l'autore del libro Diario di Hiroshima (1955)], durante la notte del 27 agosto 1945, per chiedergli urlando di poter eseguire le autopsie che quegli "idioti dell'ufficio distrettuale" non gli avevano ancora autorizzato), eseguì 19 autopsie sui morti di Hiroshima, allo scopo di studiare gli effetti sui loro corpi dell'esplosione atomica del 6 agosto. Malgrado la richiesta di Katashima, Tamagawa non lo aiutò a scrivere l'articolo, come riportato anche 
all'interno del saggio storico Hiroshima, il giorno dopo (titolo originale: "Children of the Ashes", 1961; nell'edizione italiana del libro pubblicata da Pgreco nel 2012, Katashima è citato a pag. 44), scritto dal giornalista austriaco Robert Jungk, la cui edizione inglese è parzialmente consultabile su Google Libri, come questo estratto in cui viene fatto riferimento a Katashima, confermando quanto da lui dichiarato nel corso del reportage Rai del 1975.

A sinistra, il dottor Chuta Tamagawa a Hiroshima nell'autunno 1945
(fonte)

Copertina dell'edizione italiana del 2012

Il racconto dell'assalto notturno del dottor Tamagawa al suo collega
Dal libro di Robert Jungk

Maggiori informazioni su Tamagawa vengono fornite nel prosieguo del reportage di De Feo, grazie alla seguente testimonianza purtroppo anonima a causa dei tagli dell'edizione trasmessa da Rai Storia, anche se molto probabilmente dovrebbe trattarsi del professor Ichiro Yoshioka, che conobbe Norman Cousins, collaborando con lui al progetto del sostegno morale ed economico statunitense nei confronti degli orfani di Hiroshima:

Il professor Tamagawa, morto recentemente, era ordinario di patologia all'università di Hiroshima. Uno scienziato di eccezionale valore, ma molto scrupoloso. Nutriva ancora dei dubbi sulle terribili conclusioni a cui si era giunti nel corso della conferenza, così l'articolo non fu scritto. Visto retrospettivamente questo fatto appare gravido di conseguenze, perché due giorni dopo l'attività dell'agenzia Domei venne interrotta del tutto per disposizione del quartier generale alleato. Da quel momento, per 5 anni, la voce del Giappone e con essa anche i risultati delle ricerche sugli effetti delle radiazioni nucleari, tacque per il mondo intero. Se quel resoconto fosse stato conosciuto, l'umanità sarebbe venuta a conoscenza delle tragiche conseguenze della bomba e forse sarebbe stato possibile impedire che se ne costruissero altre. (...)
Il professor Tamagawa, subito dopo l'esplosione, aveva messo su un laboratorio di fortuna per compiere autopsie e ricerche scientifiche sulle persone decedute in conseguenza delle radiazioni atomiche. Il 10 ottobre [1945], quando aveva già raccolto una grande mole di dati preziosi, si presentò al laboratorio un colonnello dell'esercito americano. Disse al professor Tamagawa che doveva consegnargli tutto il materiale scientifico da lui raccolto e i relativi scritti. Tamagawa cercò d'opporsi, affermando che le sue ricerche non avevano niente a che fare con notizie di carattere militare. Il colonnello rispose che il Giappone aveva perso la guerra e tutto quello che si trovava in possesso dei cittadini giapponesi doveva essere considerato "bottino di guerra". Così portò via tutto, anche un film sulle conseguenze organiche della bomba atomica, girato da una società cinematografica specializzata in documentari scientifici sotto la personale direzione del professor Tamagawa. Il film è tuttora custodito nell'istituto di patologia dell'ospedale dell'esercito americano.

Quello del professor Tamagawa non è un episodio isolato. Il 6 settembre 1945 il governo americano aveva dichiarato ufficialmente che a Hiroshima vi erano stati dei morti solo come conseguenza immediata dell'esplosione. Nessuno era deceduto per postumi da radiazione. In novembre il comando generale dell'esercito americano proibì tassativamente agli scienziati giapponesi, di compiere ricerche sugli effetti della bomba atomica. Gli studiosi che stavano raccogliendo dei dati, furono allontanati dai loro posti di lavoro. Persino gli americani di stanza in Giappone furono diffidati dallo scrivere o anche dal parlare della bomba atomica e delle sue conseguenze.
Ichiro Yoshioka, la probabile identità dell'uomo intervistato nel reportage Rai

Una foto di Ichiro Yoshioka
(fonte)

La motivazione del comportamento dei militari americani è chiarito dalla voce narrante del reportage:

Gli americani cercarono di nascondere il più a lungo possibile quel che veramente era accaduto a Hiroshima. Come deterrente, nella guerra fredda che si andava profilando, bastava si sapesse che l'atomica era una bomba di terrificante potenza distruttiva. Il resto sarebbe stato imbarazzante.
Hiroshima in macerie dopo l'esplosione atomica
Dal reportage Rai

Comunque, per quello che riguarda la circolazione delle notizie della devastazione nucleare di Hiroshima e il racconto di ciò che accadde in città successivamente al 6 agosto 1945, un ruolo essenziale fu svolto dal quotidiano locale 
Chugoku Shimbun, come raccontato nel prosieguo del reportage di De Feo, dove la voce narrante fornisce in proposito le seguenti informazioni:
Nonostante tutto ci fu chi si aggrappò al suolo della città per non perire con essa. Il quotidiano locale diede un esempio di questa strenua volontà di ripresa. Il 9 agosto, dopo soli 2 giorni di silenzio, lo Chugoku Shimbun ricominciò ad essere consegnato ai suoi abbonati, almeno ai superstiti e a quelli ancora rintracciabili. Perché il giornale avesse la massima diffusione, i redattori si trasformarono in "strilloni" distribuendo il giornale tra le macerie.
9 agosto 1945: lo Chugoku Shimbun e l'esplosione della bomba atomica di Hiroshima

La parola passa poi a Toshiro Okida, il responsabile del settore tipografico dello Chugoku Shimbun, ormai in pensione nel 1975:

L'esplosione distrusse totalmente la sede dello Chugoku Shimbun, che si trovava a poche centinaia di metri dall'ipocentro. Solo una rotativa, sebbene danneggiata, era ancora in grado di funzionare. I giornalisti e i tipografi superstiti si accamparono in tre tende intorno alla rotativa e riuscirono, con l'aiuto di un reparto del Genio, a tirare su una linea elettrica di fortuna. La collegarono alla rotativa e la misero in moto. Per preparare i cliché si dovette sciogliere il piombo bruciando la legna delle case crollate.
Toshiro Okida nella tipografia dello Chugoku Shimbun
Dal reportage Rai

Maggiori informazioni sul destino dello Chugoku Shimbun negli anni seguenti all'esplosione della bomba atomica, vengono poi fornite dalla voce narrante del reportage Rai:

Quel primo numero del dopobomba su due sole pagine, con i caratteri sbiaditi e le fotografie quasi indecifrabili, è religiosamente custodito nel grande palazzo moderno che è l'attuale sede del quotidiano. Lo Chugoku Shimbun è considerato un giornale di provincia. Vende 500 mila copie al giorno, suppergiù quante il maggior quotidiano italiano.
La sede dello Chugoku Shimbun nel 1975
Dal reportage Rai
Interno degli uffici dello Chugoku Shimbun nel 1975
Dal reportage Rai

Successivamente la voce narrante e la regia del reportage rivolgono la propria attenzione al racconto del destino dei sopravvissuti all'esplosione atomica di Hiroshima, meglio noti a livello internazionale col termine "hibakusha", traducibile in italiano come "persone affette dall'esplosione":
Nei mesi che seguirono la bomba, la condizione umana dei superstiti affetti da ferite e da malattie da radiazione, andò peggiorando. Superata la prima ondata di solidarietà, le vittime della bomba divennero oggetto di repulsione e diffidenza. Gli stessi sopravvissuti si preoccupavano perché nessuno, all'infuori dei parenti più stretti, potesse conoscere le loro sofferenze. Molti preferirono morire in casa, piuttosto che essere ricoverati in ospedale. È uno dei motivi per cui i dati sui morti per postumi da radiazione sono così discordanti.
Hiroshima, agosto 1945: i sopravvissuti all'esplosione atomica
Dal reportage Rai

CONTINUA



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