In occasione dell'ottantesimo compleanno di Dario Argento (nato il 7 settembre 1940), gli si rende omaggio attraverso una raccolta di sue dichiarazioni che spaziano dai suoi ricordi di altri registi italiani come Sergio Leone, Mario Bava, Lucio Fulci, Federico Fellini, per poi parlare di Stephen King, della proposta che ricevette per realizzare l'adattamento cinematografico del fumetto Il Corvo di James O'Barr, dei suoi ricordi della serie tv Ai confini della realtà (1959-1964, titolo originale: "The Twilight Zone") ideata dallo sceneggiatore Rod Serling, del suo legame con il cinema di Andy Warhol, e infine del rapporto con suo padre, Salvatore Argento. Una raccolta di dichiarazioni del regista Dario Argento che proviene dal prezioso libro-intervista Nuovo Cinema Inferno - L'opera di Dario Argento di Daniele Costantini e Francesco Dal Bosco, edito da Pratiche Editrice nel 1997.
"EMPIRE" (1964) DI ANDY WARHOL
Dal film Empire di Andy Warhol (fonte) |
È uno dei film fondamentali della mia vita. Lo avevano programmato durante un'edizione del festival di Pesaro, non ricordo esattamente in quale anno, comunque nella seconda metà degli anni Sessanta. Ci andai, perché sapevo che si sarebbero potuti vedere molti film d'avanguardia, che altrimenti non avrei avuto modo di vedere nei cinema normali. Così, eccomi lì per la prima volta davanti a un film di Warhol. La macchina da presa è ferma e inquadra il grattacielo Empire State Building, a New York. Era come un sogno. A un certo punto della proiezione, dopo forse mezz'ora, in un silenzio assoluto, passa un gabbiano davanti all'Empire. Ci fu una specie di onda di emozione che passò sul pubblico e scoppiò un applauso fragoroso. Era emozione pura. Era come la scena di un omicidio in un thriller, un'inondazione, un terremoto. In seguito vidi molti altri film di Warhol, tutti bellissimi, da Couch [1964] a Mario Banana [1964], ma Empire resta un'esperienza unica per me.
(cfr. pag. 35-36 del libro di Costantini e Dal Bosco)
Dal film Couch (fonte) |
LA SERIE TV "AI CONFINI DELLA REALTA'" DI ROD SERLING
Rod Serling in un episodio di Ai confini della realtà |
[Le serie tv come L'ora di Hitchcock (1962-1965) e Ai confini della realtà:] Quelle erano le cose più forti, più elettrizzanti che si potevano vedere in TV, in quel periodo. In genere i film che trasmettevano erano piuttosto tranquilli, rassicuranti. Invece quei telefilm erano disturbanti, non ti facevano dormire. Oggi sono dei classici e penso siano rimasti nella memoria di molti, soprattutto della mia generazione.
[Steven] Spielberg ha voluto rifare The Twilight Zone, Ai confini della realtà, per il cinema, credo soprattutto per i suoi ricordi di adolescente [prima del film prodotto nel 1983, Spielberg aveva collaborato personalmente con Rod Serling dirigendo due episodi della serie tv Night Gallery - Mistero in galleria (1969-1973)].
Quella è stata una serie televisiva veramente importante. Sono immagini che non si dimenticano facilmente. L'episodio dell'invasione aliena, che finiva con il cuoco che mostra il terzo occhio sotto il cappello... L'uomo che rompe gli occhiali... [si tratta rispettivamente degli episodi Chi è il vero marziano? ("Will the Real Martian Please Stand Up?", ep. 28 della seconda stagione) e Tempo di leggere ("Time Enough at Last", ep. 8 della prima stagione)]
(cfr. pag. 22-23; per maggiori informazioni su Rod Serling e Ai confini della realtà si rimanda a questo articolo del blog)
Dal finale dell'episodio Chi è il vero marziano? |
Dal finale dell'episodio Tempo di leggere |
SERGIO LEONE E IL FILM "C'ERA UNA VOLTA IL WEST" (1968)
(fonte) |
È stato Sergio Leone a insegnarmi l'importanza delle cose concrete, dirette. Una volta eravamo a casa di Sergio, io e [Bernardo] Bertolucci, e stavamo lavorando con lui al copione di C'era una volta il West. Eravamo arrivati a un punto critico, non riuscivamo a trovare un'idea per fare andare avanti la storia. Sergio a un certo momento disse che doveva andare in bagno. Rimase via un bel po' di tempo, mentre io e Bernardo ci scervellavamo per trovare una soluzione per quella scena. Finalmente Sergio tornò, tutto sorridente, e ci disse: "Molta gente pensa che cagare sia una cosa volgare. Secondo me è un'attività bellissima, molto interessante. Mentre lo facevo mi è venuta un'idea". E ci snocciolò nei minimi particolari una scena strepitosa, che risolse tutti i nostri problemi. Fu divertente e mi insegnò anche molto. Era una cosa semplice, concreta, un'idea che veniva fuori in quel modo. Come nell'Ulisse di Joyce...
1987: Sergio Leone nello studio della sua villa nel quartiere EUR di Roma Dal Radiocorriere TV n. 8, febbraio 1987 |
Cercammo in qualche modo di richiamare quell'atmosfera struggente che c'è in Sentieri Selvaggi [1956], e che si avverte in modo particolare all'inizio del film. Anche Johnny Guitar [1954] fu una fonte di ispirazione molto importante per noi. In tutti e due i film c'è un eroe solitario, che parla pochissimo, che non porta la pistola. Queste cose ce le fece notare Sergio Leone, quando visionammo il film. A un certo punto Sterling Hayden [l'interprete di Johnny Guitar] è seduto a un tavolo e sul tavolo c'è una pistola. Nella stanza entra qualcuno e gli spara. Allora lui, con un movimento velocissimo, prende la pistola, la carica e risponde al fuoco. Si vede il tamburo della pistola che gira, mentre i proiettili fischiano dappertutto. Un'azione sincronizzata, precisa, come una danza. Ci ispirammo a cose come queste, a questo tipo di atmosfera. (...)
Recentemente ho rivisto C'era una volta in America [1984] e per la prima volta ho notato una cosa molto strana e anche divertente: una parte delle scritte, delle insegne, delle indicazioni stradali, non corrispondevano quasi per nulla alla scrittura americana. Sembravano delle scritte primitive. E mentre le osservavo pensavo a Sergio, alla sua geniale disinvoltura. Infatti mi è subito venuta in mente la scena iniziale di C'era una volta il West, la scena della stazioncina: c'erano in terra, per circa mezzo chilometro, delle tavole, come un impiantito in mezzo al deserto, una cosa completamente strampalata, come un grande palcoscenico in mezzo al deserto, un palcoscenico sbrindellato, sconnesso. Che ci facevano quelle tavole lì, messe in quel modo? Nulla. Però l'immagine era stupenda. Sergio aveva uno straordinario istinto per la messa in scena, per lo spettacolo, indipendentemente dai vincoli della verosimiglianza e del realismo. Ricordo ancora benissimo quando mi parlò per la prima volta della scena del duello finale tra [Charles] Bronson e [Henry] Fonda in C'era una volta il West. I due sparano contemporaneamente, si sentono fortissimi i rumori dei colpi, Henry Fonda è ancora in piedi, apre gli occhi, guarda davanti a sé, il panorama è diverso non è più quello di prima, e non c'è più nemmeno Bronson. Poi sente dei passi alle sue spalle, è Bronson che gli ha sparato e gli ha fatto fare una piroetta in aria... Ecco, l'idea di Henry Fonda che riapre gli occhi e vede un altro panorama mi sembra straordinaria. (...)
(cfr. pag. 43/45)
Poster giapponese di C'era una volta il West (fonte) |
Henry Fonda e alle sue spalle Charles Bronson Dal finale di C'era una volta il West (fonte) |
SERGIO LEONE E LA MUSICA
Ennio Morricone (a sinistra) e Sergio Leone La foto dovrebbe risalire al periodo di lavorazione di C'era una volta il West |
Fu lui a rompere con questa idea diffusa che c'era nel cinema italiano per cui la musica non era altro che commento, oppure qualcosa che ci doveva essere perché appunto c'era una radio accesa o un'orchestra sulla pedana di una sala da ballo. Ricordo che ne parlavamo spesso con lui. Saltava fuori magari un problema a proposito di una scena. Qui mettiamo questo pezzo musicale. Da dove esce? C'è qualcuno che lo suona, c'è qualche apparecchio acceso? No, diceva Sergio, la canzone c'è e basta. E non è un commento, è una cosa diversa. È come se uscisse da una radio da qualche parte, ma non c'è nessuna radio, è qualcosa che esiste nella mente dell'autore, oppure nella mente dello spettatore del film, oppure esiste e basta, come un paesaggio, un volto, una cosa qualsiasi.
Mi ricordo che saltava fuori questa domanda: "Da dove viene questa musica?" E subito, istintivamente, cominciavamo a cercare delle scuse plausibili per farla uscire fuori da qualche parte. (...)
Sergio Leone Dal Radiocorriere TV n. 8, febbraio 1987 |
In Italia credo che fu lui a rompere con questa idea della musica. Leone aveva cominciato ad usare la musica come gli americani, come nel western americano, esasperandola moltissimo. Pensa alla camminata di Gary Cooper, in Mezzogiorno di fuoco [1952] di [Fred] Zinnemann, prima della sparatoria, con la musica che scorre letteralmente nella scena, non come un semplice sottofondo. Le immagini e il suono sono un blocco unico e si caricano a vicenda di significato. Sergio Leone, con Ennio Morricone, ha preso questa idea e l'ha amplificata, sottraendola ai momenti focali del western, al duello, per trasferirla a tutta la struttura del film.
1995: Dario Argento insieme a Ennio Morricone al Fantafestival di Roma (fonte) |
Claudia Cardinale che resta sola a casa, in C'era una volta il West, sola con la musica, e quella melodia è davvero uno stato d'animo. È la malinconia, il cuore che gronda di emozioni e tutta la scena che gronda di musica.
(cfr. pag. 77-78; nel 1989 Dario Argento partecipò al funerale di Sergio Leone, rilasciando una breve intervista televisiva che si trova a questo link di YouTube)
Copertina del disco 33 giri con la colonna sonora del film Quest'edizione in vinile risale al 1970 (fonte) |
DARIO ARGENTO E LE SUE SCENEGGIATURE
Uno dei film western sceneggiati da Dario Argento (fonte) |
Western, storie d'amore, storie di guerra, d'avventura. Di solito io proponevo i progetti, e piano piano ho cominciato a essere conosciuto, come scrittore di cinema. Goffredo Lombardo, della Titanus, mi stimava molto. Era una persona molto intelligente e gentile. Lavorai molto per lui. A quell'epoca avevo più o meno venticinque anni e guadagnavo piuttosto bene.
Per la prima volta vedevo che il mio lavoro mi rendeva, mi permetteva di vivere. Era una cosa sorprendente per me, non avevo mai pensato che sarei riuscito a guadagnare scrivendo, facendo le cose che mi piacevano. (...)
Poster giapponese del film Un esercito di 5 uomini (fonte) |
In quel periodo [seconda metà degli anni '60] io avevo praticamente finito la mia esperienza di giornalista, salvo qualche collaborazione con "Paese Sera" e avevo cominciato a scrivere per il cinema. Furono questi anni, tra il '67 e il '69, che rivoluzionarono letteralmente la mia vita. Successe tutto in quei tre, quattro anni. Lasciai il giornale e cominciai a vivere, mentre si metteva in moto questa rivoluzione del '68. Scrissi sceneggiature, scrissi il mio primo film e lo girai [L'uccello dalle piume di cristallo (1970)].
(cfr. pag. 45-46; tra i film sceneggiati da Dario Argento, meritano una particolare i western Oggi a me... domani a te! (titolo inglese: "Today We Kill... Tomorrow We Die!", 1968) e Un esercito di 5 uomini ("The Five Man Army", 1969), accomunati dalla presenza di Bud Spencer (Carlo Pedersoli) e di attori giapponesi, tra cui Tatsuya Nakadai (il cattivo principale di Oggi a me... domani a te!), presente nel cast del film La sfida del samurai ("Yojimbo", 1961) diretto da Akira Kurosawa e principale fonte di ispirazione usata da Sergio Leone per il suo primo western, Per un pugno di dollari (1964). Per maggiori informazioni sui legami tra il cinema giapponese e i western italiani, si rimanda a questo link, mentre in quest'altra pagina del blog si possono trovare informazioni sulla popolarità dei film di Dario Argento in Giappone)
Edizione giapponese in dvd (fonte) |
IL RAPPORTO COL PADRE, SALVATORE ARGENTO (1914-1987)
Salvatore Argento e suo figlio, Dario Foto scattata durante le riprese della serie tv La porta sul buio (1973) L'autore della foto è Roberto Canevari (fonte) |
Mio padre lavorava per il Ministero dello spettacolo e curava la promozione del cinema italiano nel mondo, attraverso gli Istituti di cultura. Così era sempre in viaggio, all'estero. Lo vedevo pochissimo, una volta ogni tre, quattro mesi. (...)
Il rimorso più grande che ho è di averlo conosciuto tardi. Lui faceva un lavoro che lo portava a stare spesso all'estero, quindi lo vedevo poco. Lavorava al Ministero dello spettacolo, si occupava dei festival internazionali. Se con mia madre avevo parlato poco, con lui praticamente mai. Poi iniziò a fare il produttore e soltanto dopo aver fatto la società di produzione insieme a lui cominciai a frequentarlo. Ma ero grande ormai, avevo quasi trent'anni. Viaggiavamo, andavamo in vacanza insieme, diventammo due amiconi. Credo che sia stato il più grande amico della mia vita. È un vero peccato che la nostra amicizia sia durata poco, in fondo. Lavorandoci scoprii tante cose, che era un uomo simpatico, che aveva una sveltezza, una praticità nel trattare le persone di cui ero veramente ammirato. Ricordo che una volta andavamo a Zurigo per motivi di lavoro. Io ero vestito in una maniera un po' stramba - era l'epoca in cui ci si vestiva tutti in maniera un po' stramba - mentre lui era vestito in modo molto austero. Siccome era l'ora di pranzo, entrammo in un ristorante. Ma appena entrati, i camerieri, vedendomi con i capelli lunghi e con questi vestiti, per poco non mi presero a calci. Cercarono di scaraventarmi per le scale come se fossi un accattone. Mio padre ebbe una reazione molto decisa e per poco non finì a pugni, nonostante fosse già anziano. Ecco, in quell'occasione capii che era veramente un amico. E poi lui è stato il primo che ha creduto in me, ed io mi fidavo molto di lui. (...)
Il pupazzo di Profondo rosso, progettato da Carlo Rambaldi Dal Radiocorriere TV n. 16, aprile 1975 |
Qualche volta è intervenuto su alcune mie scelte, ma raramente. Una volta, a proposito della scena del pupazzo in Profondo rosso [1975] insistette moltissimo perché la togliessi. Ma io non cedetti, ero convinto di quello che facevo. Ricordo che mi diceva: "Dario, guarda che questa scena in cui si apre una porta ed esce un pupazzo, è veramente una cazzata, una cazzata tremenda. Non ci crederà nessuno. Sarà pure un colpo di scena, ma è una vera cazzata". E io non volli sentire ragioni: non aveva capito che in quella scena c'era lo spirito del film.
Un'altra discussione l'avemmo a proposito di una scena di Inferno in cui a uno dei personaggi improvvisamente viene tagliata la testa. Lui proprio non resistette e mi disse: "Questa me la devi proprio spiegare, questa proprio non l'ho capita, onestamente. Ma perché gli fai tagliare la testa, perché?" e io che cercavo di spiegargli: "Ma perché è il male che aleggia, che svolazza sopra la città". Mi viene da ridere a ripensarci. Era bellissimo discutere con lui di queste cose. Abbiamo fatto tante cose insieme, abbiamo viaggiato, siamo stati in America, abbiamo lavorato e ottenuto anche dei buoni risultati. Mi sentivo totalmente sicuro quando avevo lui alle spalle. Era capace di affrontare qualsiasi problema, e anche quando non riusciva a risolverlo del tutto, comunque l'aveva affrontato meglio di me. Certamente non sarei stato capace di fare meglio di lui. E poi avevamo ancora tanti progetti da realizzare insieme, coproduzioni con gli americani, con i francesi. Invece poi, purtroppo, si ammalò. Ebbe una serie d'infarti e infine morì di ictus. (...)
Dario Argento durante le riprese di Testimone oculare Si tratta di un episodio della serie tv La porta sul buio Dal Radiocorriere TV n. 39, settembre 1973 |
In modo attivo fino a poco prima di girare Tenebre [1982]. Ma già durante la lavorazione di Suspiria [1977] era stato male. Ebbe allora il primo infarto. Ho sempre pensato, con un orgoglio forse assurdo, che noi eravamo un po' come quelle botteghe rinascimentali, dove c'è il padre, poi il figlio, poi il figlio del figlio. Una bottega semplice, senza volersi allargare, ingrandire, come mi diceva sempre lui. Al contrario di quella che era la regola, allora nel cinema italiano. Avevano tutti uno smodato senso di grandezza. Inoltre, in quegli anni, si facevano moltissimi film, si guadagnava sempre, anche con film bruttissimi. E noi avremmo potuto fare film molto grossi, come ci offrivano gli americani o Dino De Laurentiis, avremmo potuto produrre sei, sette film l'anno. Invece volevamo restare una bottega artigianale, proprio come la bottega rinascimentale italiana, dove si lavorava sempre insieme, dove si facevano prodotti che rispecchiassero la nostra personalità. Finché abbiamo lavorato insieme, io e mio padre siamo andati avanti con questo spirito.
(cfr. pag. 21 e 152/154)
Enzo Cerusico, Dario Argento, Adriano Celentano e Salvatore Argento Dal set del film Le cinque giornate (1973) di Dario Argento (fonte) |
FEDERICO FELLINI (1920-1993)
(fonte) |
Ho avuto qualche incontro con lui, perché era amico di mio padre. L'ho visto molte volte. E mia sorella Floriana è stata sua segretaria per un periodo e io andavo a trovarla sul set di Giulietta degli spiriti (1965). So per certo che Fellini mi stimava, che il mio lavoro gli piaceva. (...) C'è questa dimensione fantastica, in tutto il suo lavoro, in tutti i suoi film, che mi ha sempre affascinato moltissimo. Vedere Toby Dammit (un episodio di Tre passi nel delirio [1968]), per me che amavo Edgar Allan Poe, fu una grande emozione.
Il film che ho visto più volte di ogni altro è 8½ [1963]. Il cinema sognato, il cinema come sogno. Mi piace perdere la testa, quando vedo un film.
(cfr. pag. 57; si segnala che per la creazione dell'episodio Toby Dammit, Federico Fellini ha tratto ispirazione dal film Operazione paura [1966] di Mario Bava per la rappresentazione della bambina "demoniaca")
Locandina originale del film felliniano citato da Dario Argento (fonte) |
Locandina cinematografica alternativa di Toby Dammit di Federico Fellini (fonte) |
MARIO BAVA (1914-1980)
Mario Bava (a sinistra) e Dario Argento Dal set del film Inferno (fonte) |
Era l'unico che frequentavo con una certa continuità. A lui piaceva il mio lavoro. Diceva che avevo dato dignità al cinema horror, che altrimenti in Italia sarebbe rimasto al livello di un sottogenere.
Mario Bava era un maestro degli effetti speciali. Ha lavorato con me in Inferno [1980]. Era anche un ottimo regista. La mia ex moglie, Daria Nicolodi, interpretò per lui un thriller veramente interessante, che si intitolava Shock [1977]. Poi ho avuto suo figlio Lamberto come aiuto-regista. È stato con me molto tempo e ho anche prodotto dei film che lui ha diretto [si tratta di Dèmoni (1985) e Dèmoni 2 - L'incubo ritorna (1986); di quest'ultimo Argento mostrò alcuni effetti speciali nel programma televisivo Giallo [1987-1988, Raidue], come si può vedere a questo link di YouTube; sempre per Giallo, Lamberto Bava girò i primi sei episodi della serie Turno di notte]
(cfr. pag. 118-119; per ulteriori informazioni sul rapporto tra Mario Bava e Dario Argento si segnala l'articolo reperibile a questo link)
Dario Argento e Lamberto Bava sul set di Dèmoni (fonte) |
Pagina pubblicitaria del programma tv Giallo (1987-1988, Raidue) Dal Radiocorriere TV n. 50, dicembre 1987 |
STEPHEN KING
Stephen King, negli anni '70 (fonte) |
Ero negli Stati Uniti per seguire l'uscita americana del mio film Suspiria e un giorno mi chiamò l'agente di Stephen King. Voleva propormi di realizzare un film tratto da Salem's Lot [1975], un libro che in Italia uscì col titolo Le notti di Salem [la prima edizione italiana risale al 1979]. Io a quel tempo non conoscevo King e non avevo letto niente di suo. In America era già abbastanza famoso, stava cominciando a imporsi, mentre in Italia non lo conosceva nessuno. Lessi questo libro e devo dire che non mi entusiasmò, mi parve piuttosto discontinuo. In seguito lessi gli altri suoi libri e mi piacquero moltissimo quasi tutti. Ma Le notti di Salem lo trovai, e lo trovo tuttora, un po' debole. (...)
A un certo punto, per vedere se potevo fare qualcosa con Salem's Lot andai a Salem, nel Massachusetts, con mia figlia Fiore. Ci siamo fermati due o tre giorni e abbiamo dormito nella casa di [Nathaniel] Hawthorne [1804-1864, l'autore del romanzo La lettera scarlatta (1850)], che è stata trasformata in un piccolo albergo con ristorante. Volevo vedere com'erano i luoghi del libro, respirarne l'atmosfera. Ci sono ancora molte testimonianze della strage delle streghe avvenuta alla fine del Seicento. (...) A un certo punto forse il film si sarebbe anche potuto fare ma, davvero, non so nemmeno io il motivo per cui poi, alla fine, non accadde niente.
Titolo dell'edizione italiana della miniserie tv ispirata al libro Le notti di Salem
La regia è firmata da Tobe Hooper
L'anno di produzione della miniserie è il 1979
Ho seguito tutta la sua straordinaria carriera. Ma non ha sempre avuto una vita facile. Per molto tempo Stephen ha avuto grossi problemi con l'alcol e con le droghe. È un uomo che ha percorso una strada difficile. (...)
Quando finiva di scrivere un libro, di solito mi chiamava e me lo offriva. Mi ha chiesto anche di fare The Stand [1978], L'ombra dello scorpione [prima edizione italiana: 1983], che è uno dei suoi lavori migliori.
(cfr. pag. 119-120)
LUCIO FULCI (1927-1996)
Dario Argento e Lucio Fulci al Fantafestival di Roma nel 1995 (fonte) |
Con Fulci per anni non ho avuto rapporti. Fino a poco tempo fa. Mi infastidiva molto che lui mi copiasse i titoli dei film, tutti quei riferimenti agli animali... Lui e altri. Ne avranno fatte una cinquantina, di imitazioni dei miei film. La farfalla con le ali sanguinate [1971, regia di Duccio Tessari; nel titolo corretto c'è "Una farfalla"], La lucertola con la pelle di donna [1971, regia di Fulci; nel titolo corretto c'è "Una lucertola"], paperi, gatti, topi... Di tutto, veramente. Io non ho mai detto niente, perché ognuno fa il suo lavoro e tutti prendiamo qualcosa dagli altri, anch'io mi sono ispirato ad altri autori. Però, ciò non toglie che mi dava fastidio tutto questo copiare così meccanico. Non volevo avere rapporti con nessuno di questi registi, neanche con Fulci.
In seguito però su di lui mi sono fatto un'opinione positiva. Ho visto i suoi film. Secondo me Non si sevizia un paperino [1972] è molto bello, e non è l'unico film interessante che ha fatto. Non credo che sia giusto che un regista bravo come lui sia stato dimenticato dal cinema italiano. Le cose vanno così. Appena uno invecchia un po', viene dimenticato. (...)
(fonte) |
Incontrai Lucio al Festival del fantastico, a Roma [si tratta del Fantafestival, in particolare dell'edizione del 1994, secondo la pagina wikipedia inglese dedicata a Fulci]. Era ridotto, malissimo, stava sulla sedia a rotelle. Vederlo ridotto in quello stato mi sconvolse. E pensai immediatamente che non era per niente giusto che un uomo come lui, un uomo del suo valore venisse abbandonato al suo destino. Così andai a trovarlo, parlammo a lungo e alla fine gli proposi di dirigere un film che avrei prodotto io. Lui accettò con entusiasmo e devo dire che da allora cominciò a riprendersi. (...) Rimettersi a lavorare gli aveva ridato entusiasmo, forza. Mi sento piuttosto orgoglioso di averlo aiutato, quando stava male. (...)
[Inizialmente Argento e Fulci pensano a una nuova incarnazione del personaggio iconografico della mummia, mentre poi rivolgono l'attenzione alla storia del "museo delle cere", luogo iconico del cinema horror a partire dal film del 1933, La maschera di cera]
Devo premettere che non si trattava di un vero remake del film in quanto avevamo deciso di risalire alla fonte originaria, e cioè al racconto di Gaston Leroux Il museo delle cere. Nel cinema Leroux ha sempre subito un po' lo stesso trattamento che è stato riservato a Poe. Si prende un racconto dell'uno come dell'altro, si mantiene l'inizio e la fine, e per il resto si inventa tutto di sana pianta. In alcuni casi è necessario farlo perché si tratta di racconti brevi, che non hanno la durata necessaria per farne un film. Ma in molti altri casi si allunga, si taglia, si inventa senza molti scrupoli, senza alcun rispetto per gli autori. Nel nostro caso, pur avendo adattato e sviluppato il racconto di Leroux, abbiamo cercato di restituirne intatta la suggestione, lo spirito.
[Da recenti ricerche è emerso come Gaston Leroux sia l'autore del romanzo "La double vie de Théophraste Longuet" (edito in volume nel 1904, dopo la pubblicazione a puntate avvenuta nel 1903), di cui il nono capitolo ha il titolo "Le masque de cire" ("La maschera di cera"); i due film horror americani intitolati "La maschera di cera" (prodotti rispettivamente nel 1933 e nel 1953) sono invece basati sul racconto "The Wax Works" (1932) di Charles S. Belden; il romanzo più celebre di Leroux è Il fantasma dell'opera (1910), a cui è ispirato l'omonimo film diretto da Dario Argento nel 1998; per la "maschera di cera" Argento e Fulci volevano ispirarsi liberamente alle opere di Leroux, senza rifarsi a un suo testo specifico, secondo quanto riportato in questo articolo inglese dove si fa riferimento a un'intervista al critico cinematografico Alan Jones, autore del saggio biografico Dario Argento: The Man, the Myths & the Magic (2016)]
(le sopracitate dichiarazioni di Argento provengono da pag. 117-118 del libro Nuovo cinema inferno; alla sceneggiatura del film "Maschera di cera" lavorarono Argento, Fulci e Daniele Stroppa. Il film fu poi diretto da Sergio Stivaletti e uscì nel 1997 con il titolo "M.D.C. - Maschera di cera"("The Wax Mask"); riguardo al rapporto tra Dario Argento e Lucio Fulci si segnala l'intervista realizzata da Enrico Ghezzi ad Argento reperibile a questo link)
Lucio Fulci al Fantafestival nel 1995 (fonte) |
"IL CORVO" DI JAMES O'BARR
James O'Barr al Biografilm Festival di Bologna nel 2013 (foto personale) |
[II produttore Edward R. Pressman] Era uno che conoscevo bene perché mi offrì una volta di realizzare per lui Il Corvo, un film ispirato ai fumetti di James O'Barr. Sia Pressman, sia O'Barr volevano assolutamente che lo facessi io. Provai a buttare giù un trattamento ma era una cosa con la quale non riuscivo proprio ad entrare in sintonia. (...) Avrei avuto un po' di autonomia. Sicuramente avrei potuto occuparmi direttamente del montaggio... E avrei avuto più o meno le stesse garanzie se avessi accettato di dirigere un western con quattro donne protagoniste. In vent'anni gli americani mi hanno proposto sette o otto film e in tutti avrei avuto questo tipo di garanzie. Ma ho sempre preferito rifiutare e continuare a lavorare con il mio vecchio sistema, magari anche con capitali americani ma con il baricentro ben saldo in Italia. (...)
[Il film del 1994] Ha avuto un grande successo. Io lo trovo un po' schematico, ma credo che [Alex] Proyas abbia seguito l'idea della produzione. Volevano un prodotto molto vicino al fumetto, un po' infantile. Non so, forse è stato proprio questo che mi ha allontanato dal progetto. Penso che avrei comunque cercato di farlo in modo diverso, probabilmente seguendo di più le idee di O'Barr.
(cfr. pag. 86-87)
IL GENERE HORROR
Per molto tempo l'horror è stato confinato in una nicchia, considerato automaticamente di serie B. Di conseguenza, veniva visto come un intrattenimento popolare, forse un po' morboso, ma sostanzialmente innocuo. Nessuno pensava, negli anni Cinquanta o Sessanta, che questo genere di film potesse avere una qualche carica eversiva. Così come non si pensava la potessero avere i racconti di Lovecraft, per esempio. Questo faceva sì che queste cose venissero giudicate in modo piuttosto superficiale, ma allo stesso tempo venivano accettate nella loro dimensione fantastica. A nessuno veniva in mente di considerarle pericolose. Stupide, magari, ma non pericolose.
Ora naturalmente io penso che questo cinema sia tutt'altro che stupido e penso che abbia una capacità di penetrazione, nell'immaginazione di molte persone, che spesso il cinema tradizionale non ha. Alcuni film horror riflettono in modo piuttosto sottile il disagio, la paura, la follia che pervadono la nostra vita quotidiana. Però credo anche che non si debba mai perdere di vista il fatto che stiamo parlando di invenzioni fantastiche, di finzione, di artifici.
Locandina cinematografica italiana (fonte) |
Gli spettatori provano paura, guardando un film dell'orrore, così come si sentono stimolati a ridere davanti ad una commedia divertente. In entrambi i casi si tratta, secondo me, di reazioni adeguate alla finzione della rappresentazione. Voglio dire, non si tratta della stessa paura o dello stesso divertimento che si proverebbero nella vita vera, vivendo situazione reali. La paura che serpeggia tra gli spettatori in un cinema buio, ha un che di compiaciuto, di controllato; è come una specie di ebbrezza, di energia anche, qualcosa che ti dà l'illusione di poter passare attraverso avvenimenti terrificanti, che nella realtà ti annienterebbero. Lo spettatore sta seduto su una poltrona e guarda la rappresentazione di qualcosa che gli fa provare un falso terrore. È come una simulazione di volo. O come il vaccino dell'influenza. Provi i sintomi di qualcosa che non c'è e allo stesso tempo ti senti più forte, perché sai che non ti ammalerai veramente.
(cfr. pag.137-138; riguardo ai risvolti politici e di critica sociale che può possedere un film horror, si ricorda il caso emblematico del film Dawn of the Dead - Zombi [1978] diretto da George A. Romero e co-prodotto da Dario Argento, come approfondito in questo articolo del blog; nella foto in basso, Romero e Argento si trovano sul set del film nel 1978)
Che gioia questo articolo!
RispondiEliminaIo sono un fan di Dario, cioè gli voglio proprio bene personalmente!
Sono cresciuto coi suoi film e anche se i suoi ultimi lavori non mi sono piaciuti per niente, nulla potrà toglierci i capolavori degli esordi e della sua produzione "mediana" (prima del Cartaio, insomma). Poi, si sa, un fan non è proprio la persona più obiettiva rispetto all' "oggetto" amato.
Ho avuto l'enorme piacere di fare una breve chiacchierata con lui, mentre girava Nonhosonno (tutte le scene della villa sono girate all'interno di una villa, appunto, sita in Via Campana a Torino e io all'epoca lavoravo nell'edificio di fronte! Quindi è stato facile commuovere i bestioni che lo tenevano al sicuro e farci una chiacchieratina (e, lo ammetto, farmi fare l'autografo).
Perdona questo mio commento da quindicenne, ma ci tenevo a esprimerti la mia gioia che questo tuo articolo mi ha procurato.
Un caro saluto!