In occasione dei 30 anni dalla fondazione della casa editrice bolognese Granata Press (attiva dal 1989 al 1996) di Luigi Bernardi (scomparso nel 2013 e da me commemorato con questo articolo del blog dedicato a lui e alla Granata) e della prevista visita di Leiji Matsumoto a Bologna il 18 novembre 2019, poi purtroppo annullata a causa dei problemi di salute di Matsumoto, si forniscono ulteriori informazioni sull'attività editoriale della Granata Press, sulle ragioni che spinsero Bernardi a occuparsi della cultura, dei fumetti e dell'animazione giapponese, fornendo con la sua attività editoriale un prezioso contributo alla divulgazione della conoscenza della società nipponica nel nostro paese.
Leiji Matsumoto Foto tratta da Mangazine n. 8 (novembre 1991) della Granata Press |
Oltre a un libro appositamente dedicato alla Granata Press del quale si è già parlato in questo articolo del blog, l'origine della casa editrice bolognese è stata raccontata da Luigi Bernardi anche nel suo saggio Macchie di rosso - Bologna avanti e oltre il delitto Alinovi (edito da Zona nel 2002), dove parla dell'impatto sulla città di Bologna dell'omicidio avvenuto nel 1983 della ricercatrice e insegnante del DAMS Francesca Alinovi, persona molto stimata da Bernardi (cfr. questo articolo del blog) e da celebri artisti come Keith Haring (dedicò una sua opera all'Alinovi) e Basquiat, la quale fu un'importante pioniera delle ricerche sulle contaminazioni tra medium artistici (cinema, teatro, fumetto, arte, musica, letteratura, fotografia, street-art, ecc...), adottando nei suoi testi anche un linguaggio visionario e fantascientifico quando ad esempio si occupò della New York di fine anni '70/inizio anni '80 (cfr. questo articolo del blog).
Francesca Alinovi (fonte) |
Dal libro dedicato all'Alinovi, si riporta quindi il seguente estratto (tratto da pag. 82-83) in cui Bernardi racconta l'origine della Granata Press:
Vedo troppe cose che si dovrebbero muovere, stimoli che aspettano solo di essere raccolti. Mi faccio di nuovo venire il progetto di una casa editrice, si chiamerà Granata Press, nasce a Bologna ma dialoga ogni giorno con Parigi, San Francisco, Tokyo. Bologna sembra il posto giusto per fare certe cose, pare diventata il centro del mondo, e non c'è solo la mia casa editrice, ci sono altre realtà che si muovono bene. Fossimo in una regione autonoma, di quelle che finanziano idee e progetti, daremmo vita a qualcosa che rimarrebbe. Siccome i soldi non ce li dà nessuno, li prendiamo in banca, paghiamo interessi assurdi per qualsiasi economia, firmiamo una cambiale in bianco che al momento opportuno qualcuno si ricorderà di portare all'incasso. L'Università e la Fiera non hanno i nostri problemi: la prima si espande ovunque, la seconda costruisce nuovi padiglioni. (...) Bologna diventa la città occidentale in cui si edita il maggior numero di testate di fumetti giapponesi, lo stesso per i fumetti americani, a esclusione naturalmente degli Stati Uniti. Decine, centinaia di ragazzi all'opera, chi traduce, chi impagina, chi corregge, chi coordina: erano tutti appassionati di fumetti, trovano una professione quasi per caso, assomiglia a un miracolo. Non ci sono solo i fumetti, emergono i primi giallisti, bravi e popolari (...). Faccio tradurre degli assi stranieri del poliziesco che pochi conoscevano. Dopo il giallo e il noir arrivano anche i cartoni animati, finisco a trattare con delle multinazionali, alla fine mi stritolano, tutto finisce. Bologna neanche se ne accorge.
Primo numero della rivista Zero, risalente a novembre 1990 (fonte e info) |
Ulteriori informazioni sulla Granata Press e in particolare sulle motivazioni che spinsero Luigi Bernardi a pubblicare fumetti giapponesi in Italia, sono state date da lui in una video-intervista (visionabile a questo link) realizzata dal sito web "Corpi Freddi" nel 2009, e vengono di seguito riportate:
Ho iniziato a pubblicare manga in Italia perché ero curioso, cioè mi pareva che da un lato ci fosse una generazione di potenziali lettori pronta a leggere su carta stampata personaggi di cui magari aveva già visto i cartoon o comunque un tipo di disegno che aveva già assimilato con i cartoni animati. So che è una bestialità parlare di cartoni animati a un amante di manga perché si chiamano "anime", però per spiegarci... L'altra cosa che mi aveva molto incuriosito è che il Giappone è stato l'unico paese che ha subito un attacco nucleare. Io appartengo a una generazione - sono nato nel '53 - dove la paura della bomba atomica ci ha accompagnato sostanzialmente almeno fino alla fine degli anni '60, poi se ne è parlato un po' meno, poi c'è stata una certa recrudescenza e se ne è parlato ancora. Ho sempre pensato che una cultura che ha subito un attacco nucleare avesse qualcosa di particolare da dire e in effetti i primi fumetti che ho pubblicato andavo proprio a sceglierli fra quelli che parlavano di futuro post-atomico. Ecco questa è la curiosità intorno al mio interesse per i manga, poi Granata Press è stato tante altre cose. (...)
Vhs del primo film di Ken il guerriero Fu pubblicata nel 1993 da Granata Press nella collana Manga Video (fonte) |
La cosa curiosa del manga è che ognuno ha il manga per sé, cioè l'impiegato ha il manga per gli impiegati, il tredicenne ha il manga per il tredicenne, il gay ventiquattrenne ha il manga per il gay ventiquattrenne che è diverso dal manga per il gay diciassettenne, ogni età, ogni lavoro, ogni occupazione, ogni aspirazione, ha il suo manga. E quindi è come una sorta di quotidiano, nel quale evidentemente i lettori giapponesi - e non so se questo è un bene - leggono loro stessi. La cosa più curiosa dei manga è il diretto rapporto che c'è fra l'età dei personaggi e l'età dei lettori. Noi non sapremo dire che età ha Tex Willer, e comunque non ha mai cambiato età. Era per i lettori degli anni '50, quello che è per i lettori degli anni '90. In Giappone questo sarebbe impossibile. In Giappone chi ha una certa età ha il suo manga, che è rappresentato da un personaggio che grossomodo ha la sua età.
Il manga dei Cavalieri dello Zodiaco/Saint Seiya edito da Granata Press (fonte) |
Le pubblicazioni fumettistiche nipponiche della Granata Press riscuotono l'interesse, il sostegno e l'apprezzamento di vari giornalisti del quotidiano L'Unità, sul quale ad esempio fu pubblicata la seguente recensione positiva scritta da Renato Pallavicini - che seguì con attenzione anche la sorte del film d'animazione nipponico Akira (1988) di Katsuhiro Otomo in Italia, come raccontato in questo articolo del blog -, del volume Il bosco delle sirene (edito in Italia nel 1994) di Rumiko Takahashi, la celebre autrice di Lamù, Ranma 1/2, Maison Ikkoku e Inuyasha:
Lo abbiamo messo al primo posto della classifica dei nostri "Magnifici Dieci" fumetti. E Il bosco delle sirene di Rumiko Takahashi (Granata Press, lire 28.000) la palma di questa hit parade la merita davvero: se non altro perché è un'ulteriore smentita di pregiudizi e incomprensioni sui "manga" giapponesi. E poi perché conferma il valore e la classe di un'autrice di grido. Rumiko Takahashi, classe 1957, soprannominata la "principessa dei manga" è famosissima (e ricchissima) grazie alle sue storie comico-grottesche, a cominciare da quelle della lunghissima serie di Lamù (le pubblica sempre la Granata Press nella collana Paperback Manga). Ma ne Il bosco delle sirene sfodera tutta la sua maestria di autrice in tre storie fanta-horror che recuperano miti e leggende tipiche della cultura giapponese. Tra mostruose anime dannate e bellissime sirene la cui carne, se mangiata, dona l'immortalità, le vicende di Yuta e Mana diventano una dolente metafora sulla giovinezza e la vecchiaia, sulla vita e la morte. E sul sentimento dell'amore che tutto tiene.
(cfr. l'articolo Le sirene di Rumiko Takahashi, di Renato Pallavicini, L'Unità, 27/12/1994)
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Proprio la Takahashi e la sua Lamù sono il punto di partenza di un'interessante analisi sul fumetto giapponese e sui suoi lettori effettuata da Giancarlo Ascari sempre sulle pagine de L'Unità, nel 1991:
I lettori dell'"Unità" che continuano ad acquistare "Cuore", avranno forse notato la presenza consolidata nelle votazioni del "Giudizio Universale", ovvero le cose per cui vale la pena di vivere, di un enigmatico bisillabo: Lamù. Si tratta semplicemente dell'eroina di un fumetto giapponese, che in Italia appare su "Ma[n]gazine", rivista edita, assieme alla consorella "Zero" e ad altre testate, dalla Granata Press di Bologna. È abbastanza noto che in Giappone i fumetti, lì chiamati "Manga", hanno avuto nel dopoguerra un successo clamoroso, valutabile in milioni di copie vendute, con centinaia di titoli presenti sul mercato. Affacciarsi sulle loro edizioni italiane, crea però un attimo di vertigine, perché si intuisce immediatamente che ci si va a inoltrare in un universo di rimandi culturali in cui è difficile cogliere il capo dalla coda. Le riviste citate presentano infatti varie serie di "manga", rubriche di informazione sul tema e una posta affollata di lettori che intervengono con grande competenza sui fumetti in questione, dichiarando un'età che va dai 15 ai 20 anni.
Lamù sulla copertina del n. 2 (maggio 1991) della rivista Mangazine (fonte) |
Ora è necessaria una piccola parentesi, per spiegare a chi non conosce le stratificazioni del pubblico dei fumetti, che questa è l'età media di chi in Occidente sceglie usualmente le storie dei supereroi americani. I motivi sono ovvi: è questa la stagione in cui ci si sente immortali e invulnerabili, e la proiezione sull'eroe con superpoteri è praticamente automatica, poiché permette di spostare all'esterno, su una figura potente e indistruttibile, qualunque insicurezza e ambiguità si stia vivendo. I personaggi dei "manga" invece sono dei veri ragazzini, spesso con relative famiglie, amici, amiche, proiettati in storie in cui coesiste tutto, dal medioevo giapponese alla fantascienza, da elementi comici ai temi dell'iniziazione sessuale, in una continua fluttuazione di segni e di sensi.
Primo volume del manga di Ranma 1/2 di Rumiko Takahashi (fonte) |
Ad esempio in Occidente siamo abituati a una ferrea scissione di forme e cornici, mentre in un "manga" possono convivere nella stessa storia personaggi disegnati come pupazzetti ed eroi dai volti drammatici, senza che questo metta in crisi la credibilità dell'insieme. Peraltro compaiono in episodi dal disegno quasi infantile tracce di incesto, omosessualità, orfanelli abbandonati, malattie terribili; ovvero, a cavallo fra forma gentile e contenuti dirompenti, si rappresenta tutta la crisi dell'adolescenza. Senza andare a riprendere Paul Nizan: "Avevo vent'anni, e non permetterò a nessuno di dire che è l'età più bella della vita" (forse oggi quest'età si è abbassata), può essere più coerente rifarsi alle caratteristiche specifiche della società nipponica in cui gli studenti sono ancora costretti a portare l'uniforme fino alle scuole superiori, per capire questi fumetti. Essi esprimono a modo in volte ingenuo, a volte bruciante, come peraltro i libri di Banana Yoshimoto [l'autrice di Kitchen, grande appassionata dei film di Dario Argento, come spiegato in questo articolo del blog], il momento del passaggio all'età adulta, visto quasi come una totale mutazione dal positivo al negativo (non a caso i "cattivi" in queste storie sono adulti, anche fisicamente "diversi" e più altri dei protagonisti). Per spiegare però il successo del trasferimento di questi fumetti sul pubblico occidentale, è più utile rifarsi ai cartoni animati giapponesi di cui sono spesso la trasposizione, o che ispirano. Infatti, leggendo le lettere alle riviste italiane, è ricorrente il riferimento dei lettori a un vero e proprio amore per queste serie risalenti all'infanzia e alla televisione. È così che, forse, nel nostro mondo occidentale in cui l'adolescenza non esiste più, erosa da un mercato che conosce solo i bambini (fino ai 10 anni) e i giovani (dai 10 ai 50), i "manga" diventano il collettore di quegli umori, sentimenti, tensioni, che da qualche parte sempre tornano fuori perché, nonostante tutto, esistono.
Numero di Mangazine con la prima intervista italiana a Hayao Miyazaki |
Va infine aggiunta una nota sul concetto di "esotico" per giustificare l'interesse del nostro pubblico per storie che arrivano da un paese molto lontano, ma qui è davvero difficile, come dicevo all'inizio, cogliere il capo dalla coda. Infatti, quando, come nella serie "Orpheus no mado" [si tratta di Orpheus - La finestra di Orfeo, realizzato da Riyoko Ikeda, nota in Italia per essere l'autrice di Lady Oscar], abbiamo un intreccio basato sulla leggenda di Orfeo ed Euridice, ambientato in un conservatorio di musica in Germania durante la prima guerra mondiale, con vicende di spionaggio che riguardano la rivoluzione sovietica, il tutto ideato e disegnato in Giappone e poi riproposto in Europa, viene da chiedersi per chi è "esotico" cosa.
(cfr. l'articolo FUMETTI - Lamù regina dei manga, di Giancarlo Ascari, 21/10/1991)
Edizione nipponica del manga Orpheus di Riyoko Ikeda In Italia è stato pubblicato da Planet Manga/Panini nel 2004/2005 (fonte) |
Sempre Giancarlo Ascari su L'Unità è autore della seguente recensione sulla rivista Nova Express - edita da Granata e incentrata sul fumetto adulto d'autore internazionale -, tratta da un articolo dedicato alla varietà delle riviste di fumetto presenti nelle edicole italiane del 1992:
È perciò interessante vedere giungere al termine del suo primo anno di vita, se pur con qualche scompenso nelle uscite, "Nova Express", rivista edita a Bologna da Granata Press, decisamente dedicata a quello che potremmo definire, rubando il termine alla New Wave dalla Fantascienza di alcuni anni fa, "fumetto di anticipazione". "Nova" è esplicitamente rivolta a un pubblico adulto, a quei lettori attenti alle evoluzioni di alcuni generi, fantascienza, giallo "hard boiled", "Horror", romanzo metropolitano, che da un po' di tempo tendono a confondersi in un'unica area. I fumetti pubblicati dal giornale sono infatti lunghe storie, i cui referenti maggiori paiono una serie televisiva come Twin Peaks, e il cinema di David Lynch in genere, o più in là nel tempo, quello di Hitchcock. Sia nel ciclo "Give Me Liberty" di [Frank] Miller-[Dave] Gibbons, che in "Black Kiss" di Howard Chaykin, che in Crying Freeman di [Kazuo] Koike - [Ryoichi] Ikegami, la trama è sempre un filo molto sottile su cui prevale l'entrata continua, quasi da Zapping televisivo, di nuovi personaggi, in un gioco di crudeltà e citazioni in continuo crescendo.
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Se qualcuno ricorda uno splendido romanzo sperimentale a fumetti di Moebius apparso alcuni anni fa [nel 1982, edito da Milano Libri Edizioni], "Il maggiore fatale", in cui ogni pagina era un salto in un diverso genere narrativo, dalla Fantasy al Western, può trovare in questi lavori, svolta in modi più leggibili e articolati, la stessa logica. Questa linea di spiazzamento continuo del lettore produce il bisogno di riguardare più volte con cura testi e disegni, costringere all'attenzione. Crolla totalmente il concetto di linearità, su cui prevale un senso di cronicità degli eventi, e la ricchezza grafica, unita alla continua ricerca di emozioni forti, rende autonomo qualunque frammento delle storie, indipendente dall'evoluzione passata e futura della trama. L'accostamento di elementi di derivazione colta e popolare riesce bene a riprodurre universi claustrofobici, da cui qualunque fuga pare impossibile, perché diviene soltanto l'inizio di un nuovo pezzo di racconto, che l'idea seriale di base riesce comunque a contenere.
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L'insieme appare così contemporaneamente molto falso e molto reale, qualcosa di simile ai racconti polizieschi che Boris Vian scriveva negli anni Cinquanta sotto pseudonimo americano: ambienti della provincia americana costruiti a tavolino in un gioco di specchi da un esistenzialista francese. "Nova Express" appare così una rivista sulla perdita del senso di realtà, che analizza con rigore e minuzia nei fumetti e in un ottimo apparato di testi e recensioni lo sfrangiarsi e il ricomporsi dell'immaginario attorno a questo tema. È un approccio ambiguo, per un verso affascinante, per l'altro inquietante; ma, in questi giorni, aprire i quotidiani dà la stessa identica sensazione.
(cfr. l'articolo FUMETTI - E a Bologna è l'ora di Hitchcock, di Giancarlo Ascari, L'Unità, 03/02/1992)
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Al genere noir la Granata rivolse molto cura e attenzione, pubblicando ad esempio i romanzi Falange Armata (1993) e Il giorno del lupo (1994) di Carlo Lucarelli, dove il protagonista è Coliandro, poliziotto reso celebre dalla serie tv L'ispettore Coliandro, iniziata nel 2006.
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Oltre a Lucarelli, la Granata pubblica le opere noir di diversi altri autori italiani, come raccontato in questo articolo di Gioacchino De Chirico apparso su L'Unità nel 1995:
Certamente il genere noir, specialmente tra i giovani, in Italia gode di buona fama. Lo rivelano i gusti cinematografici, e le letture di certo genere di fumetti, il più famoso dei quali Dylan Dog, ha sbaragliato il campo dei concorrenti, in pochissimi anni. Ma c'è anche la letteratura da un lato, quella di autori navigati come David Grieco che alle avventure del "mostro di Rostov" serial-killer dell'ex Urss ha dedicato il romanzo Il comunista che mangiava i bambini (Bompiani [1994]), dall'altro quella appannaggio di autori giovani la maggior parte dei quali gravitano intorno alla casa editrice Granata Press che ha proposto autori stranieri di grande pregio e, cosa di grande importanza, ha dato spazio a scrittori italiani che si sono affermati con grande originalità.
Tra le novità editoriali che la Granata Press ha mandato in libreria, per esempio, ci sono le Lezioni notturne [1994] del milanese Stefano Massaron. Esperto dei libri di Stephen King, su cui ha anche scritto diversi saggi, Massaron presenta una raccolta di racconti in cui l'horror irrompe nella vita quotidiana di caserme, condomini, luoghi di lavoro, uffici pubblici e appartamenti, per spalancare il sipario sulle bestialità delle persone che li abitano. Prima di Massaron e insieme a lui, la Granata Press ha dato alle stampe i racconti di una piccola, ma interessante schiera di autori italiani. Marcello Fois ha pubblicato Ferro recente [1992], un romanzo che si articola intorno agli angosciosi legami di una famiglia sarda e, recentissimamente, Meglio morti [1993], anch'esso ambientato in Sardegna regione natale dello scrittore, con un tessuto narrativo "corale" che riprende il discorso dell'identità di un popolo.
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Nei mesi scorsi poi, è uscito L'attesa [1991] di Davide Pinardi che racconta le vicende di un giornalista minacciato dopo aver appreso alcune confidenze di tipo politico. Poi è stata distribuita la raccolta di racconti di Ivan Della Mea dal titolo Un amore di luna [1994]. In contemporanea è uscito anche il romanzo di Giancarlo Narciso che nel suo I giardini di Winkuta [1994], descrive un'ossessiva caccia all'uomo fatta di antiche maledizioni, presenze spettrali e enigmatici personaggi femminili.
In genere, la formazione culturale dei giovani autori che fanno riferimento a questo genere letterario è fatta anche di competenze nelle sceneggiature e nella produzione di fumetti, nella musica rock, nel cinema, nei videoclip e nelle produzioni televisive. Dato comune che non è difficile cogliere nelle storie che raccontano, è una forte posizione antagonista nei confronti della società contemporanea, dei suoi miti e dei suoi riti collettivi. Lo stile narrativo, a volte fatto di iperboli che non guastano nel genere noir o hard boiled americano di cui in molti si sono avidamente nutriti, è uno stile che rimane molto aderente alla realtà della cronaca quotidiana riuscendo, per contrasto, a farne emergere paradossi e violenze.
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Bologna, città che ha dato i natali culturali a questo genere di tendenza, è anche la sede dove molti di questi scrittori si incontrano per leggere insieme i loro racconti, discuterli, eventualmente emendarli e correggerli in un vero e proprio laboratorio di produzione culturale che non ha pari nel nostro paese. Il sodalizio letterario che ne è nato prende il nome di "Gruppo 13" e ha visto tra i fondatori moltissimi dei nomi prima elencati e tutti vicini alla casa editrice Granata Press.
(cfr. l'articolo Nostri mostri quotidiani, di Gioacchino De Chirico, L'Unità, 5/01/1995)
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Per concludere questa panoramica sulle pubblicazioni della Granata Press, unendo letteratura e attenzione per il Giappone, si riporta un estratto di un'intervista curata da Davide Castellazzi a Cristiana Ceci, dove quest'ultima parla delle caratteristiche e dei problemi delle traduzioni italiane delle opere letterarie nipponiche:
Nella storia delle traduzioni dal giapponese gli anni Ottanta segnano una scissione ben precisa. Fino alla fine degli anni Settanta c'era un mercato ristretto, limitato ai grandi nomi e c'erano molte trasposizioni dall'americano, in particolare di Yukio Mishima, che è stato l'autore più penalizzato dalle doppie traduzioni, con risultati a volte esilaranti. E tanto più una traduzione è letteraria, tanto più quella successiva si allontana dall'originale. (...) Si è trattato di pigrizia mentale degli editori, dato che la traduzione dal giapponese non è pagata molto più delle altre. Negli anni Ottanta, invece, uscendo la letteratura giapponese dall'ambito specialistico, sono aumentati i traduttori, sono aumentati i lettori e le edizioni vengono sempre più condotte dal giapponese, con qualche eccezione, per esempio Sotto il segno della pecora di Haruki Murakami (ed. Longanesi), uscito nel 1993 [l'anno corretto è però il 1992] ripreso dalla versione americana. Noi traduttori dal giapponese cerchiamo anche di vigilare un poco su questa cosa, "costringendo" gli editori a tradurre dal giapponese, così come siamo contrari al fatto che i libri vengano presentati senza prefazioni, senza apparato critico. (...) Prima degli anni Ottanta non si usciva dall'ambito specialistico, adesso Banana Yoshimoto e Haruki Murakami vendono molto di più, così come vende di più la collana "LUM" della Marsilio; non siamo ai livelli di certa letteratura italiana o americana ma almeno alla pari con altre, come la russa. Questo magari anche grazie al fumetto. (...)
Prima edizione italiana del romanzo di Haruki Murakami (fonte) |
Riguardo a Mishima, nel proseguo dell'intervista la Ceci aggiunge:
Mishima è il caso più clamoroso in questo senso, poiché è stato sicuramente più popolare in Occidente che non in Giappone. È stato il prodotto "furbo" adatto per essere importato in Occidente, gli americani hanno visto in lui l'autore giusto per dare un'immagine del Giappone tradizionalista, feudale, "pericoloso". Mishima era il samurai con l'etica della guerra che giustificava l'invasione statunitense, perché il suo, sempre secondo gli americani, non era un paese che si sarebbe avviato da solo verso la democrazia. A Mishima questo stava bene perché lo ha reso famoso e perché gli permetteva di dire all'Occidente cose in cui credeva. Gli americani lo hanno tradotto anche per questi motivi tralasciando altri autori, per esempio [Junichiro] Tanizaki, che è stato più spinto dall'Europa. Un altro esempio di personaggi più popolari in Occidente che non in Giappone è rappresentato dal regista Akira Kurosawa. Altri autori, come Banana Yoshimoto, sono invece egualmente conosciuti anche in patria.
(cfr. l'intervista a Cristiana Ceci a cura di Davide Castellazzi pubblicata sulla rivista Zero, nuova serie n. 1, luglio 1994, Granata Press)
Avrei sperato in commenti sullo splendido "Nero", collana di Pepoe Ferrandino.
RispondiEliminaQuanti ricordi, sono stato un pioniere nel comprare i numeri iniziali di "Mangazine" edito proprio dalla Granata nei primi anni '90.
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